UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

 

 

 

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN

SCIENZE POLITICHE (SPO)

 

 

“Critica della morale e Superuomo. La distorsione politica del pensiero di Nietzsche”

 

 

 

 

 

 

 

Tesi di Laurea di: Simone Maiorino

Relatore: Prof. Antonella Besussi

Anno Accademico 2008/2009

 

 

“La più profonda collisione delle coscienze, una decisione evocata contro tutto quanto è stato creduto, preteso, santificato. Io non sono un uomo, sono dinamite.”

 

 

 

 

 

 

 

 

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F. Nietzsche, Ecce Homo

 “Perché io sono un destino”

 

INTRODUZIONE……………………………..……………...…………………………………………………..…….pag. 4

 

CAPITOLO 1 - CRITICA DELLA MORALE

1.1 LA DIALETTICA APOLLINEO–DIONISIACO………………………………..............……………………pag. 7

1.2 LO SCHIAVO CONTRO IL SIGNORE…………………….……………………………………………..……pag. 11

1.3 CRISTIANESIMO, ETICA DEL RISENTIMENTO E CATTIVA COSCIENZA…………...………pag.14

CAPITOLO 2 – IL SUPERUOMO

2.1 L’ANNUNCIO DI ZARATHUSTRA: MORTE DI DIO E TRASVALUTAZIONE DI TUTTI I VALORI………………………………………………………………………………………………………………………pag. 18

2.2 LA QUESTIONE ONTOLOGICA: IL SUPERUOMO COME CONTINUO DIVENIRE………..pag. 21

2.3 UNA NUOVA DIMENSIONE DEL DIVINO……………..…………………………………………………pag. 23

 

CAPITOLO 3 – SUPERUOMO: INTERPRETAZIONI A CONFRONTO

3.1 STEIN E MAXI: LA STORICITA’ DEL SUPERUOMO………………………………….......................pag. 25  

3.2 STEINER, RIEHL E KAFTAN: LA FOLLIA DI NIETZSCHE COME CHIAVE INTEPRETATIVA DEL SUO PENSIERO………………………………………………………………………………………………...…pag. 26

3.3 INTERPRETAZIONI NEGATIVE: TURCK E HARTMANN…………………………....…………….pag. 28

 

CAPITOLO 4 – DERIVA DARWINIANA, GERMANESIMO ROMANTICO E GERMANESIMO BIOLOGICO

4.1 VAIHINGER: IL SUPERUOMO E LA PROBLEMATICA DI DARWIN…………………..……….pag. 31

4.2 BAEUMLER: GERMANESIMO ROMANTICO ED ESSENZA POLITICA DEL SUPERUOMO

4.2.1 IL PRINCIPIO METAFISICO DEL DIVENIRE COME CONTINUA LOTTA …………..............…….pag. 33

4.2.2 UNA NUOVA CONCEZIONE DELLO STATO…………………...…………………….………pag. 37 

4.4 ROSENBERG: GERMANESIMO BIOLOGICO E MITO DELLA RAZZA...……………..…………pag.41

 

CAPITOLO 5 - OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

5.1 DENAZIFICAZIONE DI NIETZSCHE………………………………...………………………………………pag.44

5.2 LA DIMENSIONE ANTI-SOCIALE DEL SUPERUOMO……...……………………………………….pag. 46

5.3 NIETZSCHE POLITICO O IMPOLITICO? ……..……………………………………………………..……pag. 47

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA………………......…………………….…………….………………..pag. 51

INTRODUZIONE

Il presupposto di avvicinamento alla complessa tematica di un filosofo come Nietzsche nasce dal fascino su di me esercitato da questo pensatore, unitamente alla personale volontà di approfondire e analizzare, con un’ analisi il più possibile lucida e obiettiva, le numerose implicazioni che comporta un pensiero filosofico così problematico e così suscettibile delle più svariate intepretazioni, soprattutto di carattere politico. L’ obiettivo del presente lavoro non è di presentare e spiegare l’intera opera di Nietzsche, compito assai arduo e complesso, bensì di focalizzare l’attenzione su determinati aspetti del suo pensiero, con particolare riferimento alla figura del Superuomo e alla dottrina della volontà di potenza, cercando di capire se sia possibile attribuire a questi concetti una connotazione esplicitamente politica, oppure se questi rappresentino in realtà, nell’ intenzione dell’autore, un estremo atto di riflessione dell’uomo su sé stesso, una sorta di invito all’ introspezione psicologica affinché esso possa riscoprire dentro di sé le radici e l’essenza del suo vero essere; tutto questo al di là di ogni connotazione morale o, come direbbe il filosofo stesso, al di là del bene e del male. Centrale è il tema del nichilismo, termine con il quale indichiamo quel processo culturale, ma anche psicologico, per il quale la distinzione tra i concetti di “bene” e “male”, “verità” e “menzogna”, l’esistenza stessa di un Dio trascendente, si rivelano problematiche senza fondamento e prive di alcuna consistenza oggettiva e dimostrabile.

“Nichilismo: manca il fine: manca la risposta al <perché?>; che cosa significa il nichilismo? – che i valori supremi si svalorizzano.”[1]

L’uomo nichilista cade così nell'angoscia di aver scoperto che gli scopi ultraterreni e le realtà trascendenti nelle quali aveva sempre creduto, semplicemente non esistono, ma che sono solo delle illusioni, degli artifici mentali di cui si è inconsciamente servito per fuggire dall’angoscia di una vita dolorosa e senza senso.

Il presente lavoro comincia dall’analisi della cultura greca alla luce della dialettica nietzschiana tra spirito apollineo e spirito dionisiaco, che si rivelerà fondamentale per un’adeguata e non superficiale comprensione della figura del Superuomo annunciato da Zarathustra. Vedremo come il sorgere della filosofia di Socrate segni, nella coscienza dell’uomo greco, la storica vittoria della dimensione razionale su quella istintiva. Questo fondamentale passaggio rappresenta per Nietzsche l’origine della decadenza della cultura occidentale moderna, successivamente accelerata dall’idealismo di stampo platonico e portata alle sue estreme conseguenze dalla morale cristiana, storicamente colpevole di predicare una religione dell’aldilà in contrasto con l’autentica natura umana, perennemente oltrepassata da istinti irrazionali e non dominabili, che non hanno senso se non all’interno di una concezione della vita che sia esclusivamente terrena. Diventa fondamentale, per Nietzsche, che la dimensione della volontà riacquisti la sua supremazia sull’aspetto razionale e calcolatore: il Superuomo è l’emblema di questa rivoluzione spirituale, egli vive e agisce in una continua affermazione della proprio volontà, in lui vi è il disprezzo per ogni verità annunciata e data per certa, per ogni congettura astratta e trascendente, e che non segua una religione del corpo. Le dottrine del Superuomo e della volontà di potenza si sono prestate a interpretazioni di diverso tipo e a molteplici distorsioni concettuali, tra cui la più grave di tutte operata dagli ideologi del partito nazionalsocialista tedesco. Farò un’ analisi approfondita di tale problematica, ponendo l’accento sugli aspetti più intimi, con particolare riferimento alla questione ontologica del Superuomo inteso come continuo divenire. Le osservazioni conclusive del presente lavoro cercano di stabilire se e fino a che punto Nietzsche possa essere considerato un pensatore politico, lasciando comunque aperto lo spazio alle singole interpretazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

CRITICA DELLA MORALE

1.1 - LA DIALETTICA APOLLINEO–DIONISIACO

Appassionato di studi filologici e mondo antico, Nietzsche dà una personalissima interpretazione del mondo greco, cercando e trovando nell’arte classica una forma di giustificazione estetica dell’esistenza.[2] L’arte greca sarebbe secondo lui il risultato della dinamica interazione tra due fondamentali dimensioni dello spirito. Da un lato c’è lo spirito apollineo, che tende a produrre immagini plastiche e forme armoniose, stabili, rassicuranti; è espressione di equilibrio, serenità dello spirito e razionalità; ad esso è contrapposto lo spirito dionisiaco, che è invece sentimento del caos, del fluire e del morire della vita, ma anche una spinta ad immergersi in essa, ad accettarla con entusiasmo ed ebbrezza; è espressione di istinto, passione, volontà, irrazionalità. Apollo è il Dio che ordina, addomesticando le forze cieche della natura e imprimendogli una regola e una misura. È il simbolo di ogni apparenza, dà una figura alle cose, delimitandole un profilo preciso, riparando il loro carattere istintivo e determinando la loro funzione e il loro senso specifico. La dimensione apollinea è quella del sogno e dell’illusione. In essa l’immagine onirica viene razionalizzata, fatta propria dall’intelletto e proiettata sulla realtà imprimendogli la sua forma. La cultura apollinea è caratterizzata, quindi, dalla certezza dei principi dell’autocoscienza, dalla fiducia nella sottomissione della natura all’uomo, ma anche dalla staticità delle strutture e delle regole. In un mondo che è la riproduzione di un immagine onirica di perfezione, non restano spazi aperti al mutamento: ogni mutamento diventa trasgressione, ogni introduzione di novità è sintomo di decadenza, ogni dissenso è considerato menzogna. Il carattere onirico dell’apollineo va inteso come un ritrarsi della coscienza da un mondo che si rifiuta, che non si vuol vedere, per sostituirlo con un mondo artificiale dominabile proprio grazie alla consapevolezza della sua irrealtà. Lo spirito apollineo manifesta lo sforzo di sovrapporre al mondo reale il mondo sognato, di costringere la realtà nelle strutture del sogno fino ad ottenere la piena coincidenza dei due elementi: un mondo reale e nello stesso tempo dominabile, perché non più estraneo all’uomo, ma opera sua. L’apollineo relega in tal modo nell’ombra, pur non cancellandola, l’originaria esperienza del dolore; cristallizza quindi l'istinto entro una legge di armonia, che intende il mondo come costruzione ordinata, negandone il lato caotico e imprevedibile.      Alla sognante staticità dell’apollineo, lo spirito dionisiaco contrappone una forza contraria e assai più potente, rappresentata dall’estasi e l’ebbrezza degli istinti, dalle passioni e dall’irrazionalità, elementi ineliminabili di ogni natura umana. L’esperienza dionisiaca è priva di autonomia e sussiste soltanto come pura negazione dell’apollineo. La sua è, quindi, una natura istantanea: per acquistare durata dovrebbe darsi una forma, una struttura, ma in tal modo negherebbe se stessa, giacché essa è appunto l’esperienza della falsità metafisica di ogni forma e struttura. Se l’impulso apollineo trova la sua espressione ideale nella scultura, la sola arte possibile per l’uomo dionisiaco è, secondo Nietzsche, la musica, poiché non ci sono più immagini o pensieri da portare dall’ombra del sogno alla luce di una chiara determinatezza, ma un movimento indistinto e indefinito, che richiede un’ arte altrettanto mossa e indefinita. Nel dionisiaco le certezze della ragione vengono sommerse dall’insorgere degli istinti elementari: il soggetto razionale è costretto a riconoscere come “verità” il totalmente altro, l’inesplicabile. Le passioni non sono più ristrette entro confini invalicabili, come nel sogno, in cui piacere e paura si scioglievano nella tranquillità dell’intelletto ancor prima di aver raggiunto i loro estremi. Ogni confine decade, le passioni oltrepassano i loro stessi estremi fino a confluire in un movimento in cui non esistono più distinzioni. L’orrore del totale disorientamento e della totale insicurezza è allo stesso tempo anche la gioia di una ritrovata e totale autenticità dello spirito.

La sintesi tra spirito apollineo e spirito dionisiaco è riscontrabile solo nella tragedia greca, che per Nietzsche costituisce l’ arte suprema, l’unica in grado di riflettere la totalità dell’uomo e della storia.

 “Un’idea – la contrapposizione di dionisiaco e apollineo – tradotta in termini metafisici; la storia stessa come sviluppo di quest’idea; la contrapposizione risolta in unità nella tragedia; in quest’ottica cose che prima non si erano mai guardate in faccia, messe improvvisamente le une di fronte alle altre, illuminate e comprese le une per mezzo delle altre…” [3]

Il motivo fondamentale della tragedia è la consapevolezza che il dolore accompagna necessariamente la vita. In essa la bella forma oggetto della contemplazione apollinea perde la sua illusorietà e si abbandona alla devastazione del divenire: la morte delle forme non è che il loro confluire nell’essere originario, che vive nell’eterna processualità del mutamento. La morte stessa è allora una prova dell’onnipotenza della vita, che accoglie in sé la distruzione come presupposto necessario per nuove creazioni. Guardando ai Greci con questa consapevolezza, il tratto essenziale della loro cultura appare la capacità di giustificare esteticamente il mutamento, di accogliere i fermenti di innovazione, che per certi aspetti sono sempre momenti di crisi, decadenza, distruzione, all’interno di un orizzonte di valori mobile, che permette di scorgere nel divenire storico non solo il morire ma anche il nascere, non solo la distruttività ma anche la fecondità creativa. È in questo senso che la tragedia rappresenta l’arte suprema: in essa l’arte sceglie come oggetto di rappresentazione il dolore, la morte, la realtà senza veli dell’uomo, e ciò nonostante continua a persuadere alla vita.

La sintesi tragica viene interrotta dal sorgere della filosofia di Socrate, che segna la definitiva vittoria dell’apollineo sul dionisiaco. Il socratismo viene inteso da Nietzsche come lo sforzo, portato alle sue estreme conseguenze, di rendere “vera” l’illusione, di sostituire all’immediata percezione del fenomeno sensibile una realtà mediata e manipolata dall’ intelletto. Il socratismo priva la realtà del suo contenuto per attribuirle il contenuto della coscienza: tutto è divenuto illusione, dunque l’illusione sì è convertita in realtà. La coscienza apollinea era ancora consapevole della sua difficile lotta con l’elemento dionisiaco e viveva nella tensione di questa lotta. Era una coscienza vigile e guerriera, che si difendeva da un nemico onnipresente. La coscienza socratica non conosce più questa lotta: ora essa può riposarsi e nutrirsi solo di sé stessa, in quanto il mondo esiste solo in lei. In questa metamorfosi dell’illusione in realtà, il concetto prende il posto del fenomeno, il pensiero sostituisce l’esperienza sensibile. Così il socratismo si configura come il massimo potenziamento dell’apollineo.

“Socrate come strumento della dissoluzione greca, il primo decadente. Razionalità contro istinto. La razionalità ad ogni costo come potere pericoloso che mina le basi della vita!” [4]

Con Socrate il mondo greco entra nella sua ultima epoca: l’età alessandrina. La conclusione di Nietzsche è che quest’epoca sia ancora la nostra: un’ epoca decadente nella quale l’uomo ha perso di vista il senso reale della sua esistenza, preferendo rifugiarsi nella dimensione del trascendente e del sovrasensibile per sfuggire al peso delle proprie paure.  

1.2 – LO SCHIAVO CONTRO IL SIGNORE

“Se la conoscenza, il dire sì alla realtà, è per il forte una necessità, allo stesso modo per il debole lo è la viltà, la fuga dalla realtà, l’ideale. L’uomo decadente ha bisogno della menzogna, è una delle sue condizioni di sopravvivenza”.[5]

“Vedere la morale stessa come sintomo di decadence è un innovazione, una unicità di prim’ordine nella storia della conoscenza.”[6]

Un mondo dove l’ istinto e la volontà creatrice del singolo trovano sempre il loro limite nelle imposizioni di valori assoluti dati per certi, e dove l’artificio mentale serve per fuggire dal caos e dall’angoscia di una vita che è sostanzialmente una vita dolorosa e senza senso, è un mondo dove si determina, secondo Nietzsche, una fondamentale e patologica distorsione nell’ attribuzione dei valori; tale attribuzione sarebbe in contrasto con la natura autentica dell’uomo e all’ origine della nascita della Morale. Su questa tematica egli si interroga in uno dei suoi scritti fondamentali[7]. Dopo aver separato la sfera della teologia da quella della morale, Nietzsche ricerca l’origine dei concetti di “bene” e “male” negli effetti dei giudizi di valore: la domanda che si pone è se tali giudizi di valore costituirebbero un potenziamento della vita oppure una sua irreversibile degenerazione.

“In quali condizioni l’uomo si inventò i giudizi di valore del bene e del male? E quale valore hanno essi stessi? Hanno finora ostacolato o favorito la prosperità umana? Sono un segno di angustia, impoverimento, degenerazione della vita? O, viceversa, si manifesta in essi la pienezza, la forza, la volontà della vita, il suo coraggio, la sua fiducia, il suo avvenire?”[8]

Fino ad oggi non si è neppure avuto il minimo dubbio o la minima esitazione nello stabilire il “buono” come superiore, in valore, al “malvagio”, superiore in valore nel senso di un avanzamento, di una utilità, di una prosperità in rapporto all’uomo in generale”[9]

La conclusione a cui perviene è che la morale non nasce dal giudizio del debole, dello schiavo, dell’impotente, ma da quello del forte, del nobile, del potente. Solo la seconda è originaria; la prima si configura quindi come il risultato del suo rovesciamento. La morale di uno spirito nobile è una morale attiva, una morale dell’affermazione di sé, della fierezza, dell’orgoglio, dell’eccellenza. La morale di uno spirito debole è in primo luogo frutto di un atteggiamento negativo, che può essere riassunto nella seguente affermazione: “il forte, il potente è cattivo; io non sono come lui, dunque sono buono”.                         In cuor suo il debole soffre del suo stato di soggezione e si rivolta contro il forte. Perché nel corso della storia avrebbe preso il sopravvento la morale del debole, ovvero ciò che Nietzsche definisce la “morale degli schiavi”? Una delle spiegazioni consiste nel fatto che lo spirito nobile non è da tutti e di conseguenza i nobili sono pochi. Dal canto loro gli schiavi sono un numero sterminato e questo permette al loro odio di organizzarsi e di creare capi e trasfigurazioni. La vendetta del risentito scaturisce da un principio spirituale che è una falsificazione e una rappresentazione menzognera della realtà. Una di queste falsificazioni consiste nel concepire i concetti di “forza” e “debolezza” come distinti dai loro effetti, dunque come cause che li producono ma potrebbero anche non produrli. Tuttavia forza e debolezza non possono essere considerate indipendentemente dai loro effetti, anzi si identificano con essi e non sono nient’altro al di fuori di essi. Quando invece si separa la forza da ciò che è in suo potere, la forza stessa viene moralizzata e il suo significato snaturato: di conseguenza la presunta libertà che i forti avrebbero di non esprimere la propria forza serve ai deboli per accusarli di malvagità quando questi la esprimono.

“Che gli agnelli nutrano avversione per i grandi uccelli rapaci, è un fatto che non sorprende:solo che non vi è in ciò alcun motivo per rimproverare ai grandi uccelli rapaci di impadronirsi degli agnellini”[10]

Secondo Nietzsche, la rivolta degli schiavi nel campo della morale fu opera degli Ebrei, mossi dall’odio per Roma e i valori romani, che egli considera i valori aristocratici per eccellenza. Da tale odio e da tale risentimento è scaturito il movimento più grande di tutti: il cristianesimo. Successivamente nacquero le ideologie socialiste le quali, predicando l’uguaglianza ad ogni costo, si configurano come  il più alto tentativo di appiattimento dell’animo umano e al tempo stesso il più alto tentativo del debole di ribaltare il suo status cosmico di schiavo.

1.3 – CRISTIANESIMO, ETICA DEL RISENTIMENTO E CATTIVA COSCIENZA

A proposito di cristianesimo, Nietzsche parla in particolar modo di etica del risentimento. Non quello di Gesù, da lui stesso considerato uomo attivo e nobile, propugnatore come lui stesso di un’ etica della gioia; risentimento e cattiva coscienza fanno parte invece dell’ etica di San Paolo, cioè il primo cristiano. Al cristianesimo Nietzsche attribuisce la responsabilità di aver creato un mondo sovrasensibile in contrasto col mondo sensibile, di aver creato un Dio contrapposto alla vita. La morale della compassione, la debolezza trasformata in merito, i principi di autonegazione del corpo, di auto sacrificio, il presunto valore del non-egoistico: Nietzsche vede in essi il sintomo della decadenza della cultura occidentale, la sua più sublime tentazione e seduzione verso la mediocrità e, infine, il grande pericolo dell’umanità e il segno della vittoria e del dominio degli uomini deboli sugli uomini forti.

“La morale cristiana, o meglio la legge della selezione invertita, la contraddizione contro l’uomo orgoglioso e ben riuscito, contro l’uomo afferratore, padrone dell’avvenire, garante dell’avvenire, eretti a ideale…” [11]

“Se non si tratta più con serietà l’autoconservazione, l’incremento delle forze del corpo, vale a dire della vita, se si fa dell’anemia un ideale, del disprezzo del corpo la salute dell’anima, che altro è ciò se non la ricetta della decadenza? La perdita del centro di gravità, la resistenza agli istinti naturali, in una parola la rinuncia a se stessi, ciò è stato chiamato fino ad ora morale…”[12]

Un'altra forma del risentimento è, secondo Nietzsche, la cattiva coscienza. Essa è venuta al mondo quando l’uomo è uscito dallo stato selvaggio ed è entrato per così dire in cattività, cioè nella disciplina e nella costrizione sociale degli ordinamenti giuridici moderni. Fino ad allora gli uomini erano felicemente adattati allo stato selvaggio, alla guerra, alle scorribande e all’ avventura. Improvvisamente i loro istinti belluini, che li avevano guidati con inconscia sicurezza, furono per così dire scardinati: essi furono costretti a pensare, ragionare, calcolare. Cioè furono rimandati alla loro coscienza, il “loro organo più misero e fallibile”. Non potendo più scaricarsi all’ esterno, quegli istinti si rivolsero all’interno con danni irreversibili. È questa l’origine di quella dilatazione del mondo interiore che prenderà il nome di “anima”. Quindi, nella nostra epoca decadente gli istinti brutali non si sono dissolti e scomparsi, ma semplicemente hanno subìto una trasfigurazione. La crudeltà insita all’animo umano si è fatta più sottile e viene demandata dal gesto alla parola: essa si è astratta ed è divenuta violenza del rappresentare, non è più visibile nell’azione ma nella rappresentazione concettuale. La crudeltà dell’uomo è divenuta in un certo senso ipocrita: avendo contro di sé tutta un avversa impalcatura concettuale di valori, deve restare nascosta nonostante abbia in sé la necessità di esprimersi. Viene così occultata e, una volta che sia venuta alla luce della coscienza, è vissuta come cattiva coscienza e senso di colpa. Quindi la crudeltà, questa necessità fondamentale dell’uomo, collocata in un orizzonte morale perde la sua innocenza e diviene malvagia.

“…allorquando l’umanità non si vergognava ancora della sua crudeltà, la vita sulla terra era più serena di oggi che ci sono i pessimisti. L’offuscarsi del cielo al di sopra dell’uomo è andato aumentando in rapporto al fatto che è cresciuta la vergogna dell’uomo dinanzi all’uomo”.[13]

Quando l’uomo della cattiva coscienza si impadronisce del presupposto religioso, spinge l’annullamento e il martirio di sé tanto più a fondo quanto più afferra in Dio le ultime antitesi dei suoi irrimediabili istinti animali. In questa sua volontà di trovarsi colpevole e riprovevole fino all’impossibilità dell’espiazione, nel suo sentimento di essere castigato di un castigo che non potrà mai essere adeguato alla colpa, e nell’avvilimento per la propria assoluta indegnità a cospetto della santità di Dio, egli riceve un aiuto insperato. E’ il colpo di genio del cristianesimo: Dio riscatta col proprio sacrificio il debito dell’uomo. Ma l’idea cristiana di remissione del peccato non implica una liberazione del debito bensì una sua radicalizzazione; il dolore non paga altro che gli interessi del debito, incatenando l’uomo ad esso e facendolo sentire debitore in eterno.

A causa dell’influsso negativo del cristianesimo, la cultura occidentale moderna ha frainteso il concetto di tragico dei Greci applicandovi categorie di valutazione morale che gli erano estranee. Infatti, se nel pessimismo dei Greci l’ essenza del tragico consisteva nell’ idea di un destino che si abbatte sull’ uomo e lo fa soffrire senza che se lo meriti, nella concezione cristiana è invece sempre presente un nucleo di colpevolezza: il destino colpisce sempre e solo per punire una colpa. Se quindi gli schiavi sconfiggono i forti per mezzo del risentimento, con la cattiva coscienza essi cercano di “infettarli”, di togliere loro la buona coscienza della loro forza e del loro diritto di esercitarla, di farli vergognare della loro felicità, imponendogli l’umiltà. Ma tutto questo è per Nietzsche ipocrisia, finzione e menzogna. L’artificio della mente cerca nuovamente di prendere il sopravvento sulla dimensione della volontà del singolo, ancor una volta la dimensione apollinea tenta di oscurare l’originaria esperienza del dolore, ancora una volta la coscienza cerca di crearsi su misura un mondo perfetto che non conosce sofferenza. Ma l’aldilà e il mondo sovrasensibile di Dio sono una finzione e l’affermazione dei valori religiosi e morali scaturisce in realtà dall’istinto di protezione e di salvezza di una vita degenerante, che cerca con tutti i mezzi di mantenersi e lotta per l’esistenza.

“Le cose su cui l’umanità ha pensato finora con più serietà non sono neppure realtà, sono mere immaginazioni o, per parlare con più rigore, menzogne nate dai cattivi istinti di nature malate e nel senso più profondo nefaste – tutti i concetti di Dio, anima, virtù, peccato, aldilà, verità, vita eterna… Eppure si è cercata in essi la grandezza della natura umana, la sua divinità.”[14]

“…la sopravvalutazione della bontà e della benevolenza, considerata nel suo complesso, mi sembra già una conseguenza della decadence, come sintomo di debolezza, come qualcosa di incompatibile con una vita ascendente e afferratrice: l’affermazione ha come sua condizione il negare e il distruggere.”[15]

Tutto questo svaluta globalmente la vita e si oppone invece a chi l’afferma energicamente e attivamente. Il prete cristiano è secondo Nietzsche l’emblema di questo atteggiamento patologico. Egli è il disprezzatore naturale di tutte le nature umane forti, impetuose e rapaci. Egli è il “principe” della congiura degli schiavi contro i signori.

“Chi ha sangue teologico nelle vene, ha fin da principio una posizione obliqua e disonesta di fronte alle cose… l’ istinto teologico è la forma propriamente sotterranea e più estesa di falsità che esista sulla terra. Quel che un teologo avverte come vero, non può non essere falso: si ha in ciò quasi un criterio di verità.”[16]

E ancora:

Fin dove giunge l’influsso teologico, il giudizio di valore è capovolto, i concetti di “vero” e “falso” sono necessariamente rovesciati: quel che è più dannoso alla vita, qui viene chiamato “vero”, quel che la innalza, la potenzia, la afferma, la giustifica e la fa trionfare, è detto “falso”.[17]

CAPITOLO 2

IL SUPERUOMO

 

2.1 – L’ANNUNCIO DI ZARATHUSTRA: MORTE DI DIO E TRASVALUTAZIONE DI TUTTI I VALORI

Il pensiero di Nietzsche arriva a compimento attraverso il messaggio visionario del suo Zarathustra. Non è casuale da parte dell’autore la scelta del profeta persiano vissuto nel 600 a.C.: Zarathustra fu il primo a riconoscere nella lotta tra bene e male la dialettica fondamentale dell’esistenza. Fu sua, quindi, la prima attribuzione di senso ai concetti di buono e cattivo, e fu quindi lui il primo vero creatore della morale. Per rimediare a questo suo “imperdonabile”  errore, doveva essere lui stesso, in prima persona, a riconoscerlo e cancellarlo[18]. Per risvegliare l’uomo dal torpore di una morale passiva e di rinuncia alla vita, Zarathustra intraprende un lungo e travagliato percorso spirituale, auspicando la nascita di un uomo nuovo, il cui presupposto culturale e psicologico per venire alla luce è costituito da ciò che egli definisce la “morte di Dio”, ovvero la volontà di abbandonare ogni trascendenza e congettura metafisica per poter riabbracciare ciò che egli definisce il “senso della terra”.

“Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no.” [19]

“Non nascondere più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portala libera e scoperta, una testa terrena che crea un senso della terra!”[20]

Le virtù del Superuomo annunciato da Zarathustra sono l’affermazione di sé, la fierezza, l'amore per la vita, il gusto per la lotta, il valore dell’amicizia così come quello dell'inimicizia, nella positiva accettazione che il dolore e la sofferenza sono componenti ineliminabili dell’ esistenza. È evidente in questa concezione il richiamo alla dimensione tragica dell’uomo greco e alla dimensione dionisiaca dello spirito: Dioniso è infatti il Dio che balla e canta e ride; è il Dio dell’energia vitale. Per lui sono virtù tutte le passioni che dicono sì alla vita e alla terra.

“Quest’ultimo gioiosissimo, esuberante, entusiastico Sì alla vita, non è soltanto la visione suprema, è anche la più profonda.”[21]

Il superuomo è quindi l'uomo che si è liberato dal giogo oppressivo dei valori tradizionali, l'uomo che si pone al di là del bene e del male: egli gode della vera felicità che è figlia dell’agire; vive con fiducia e apertura, accetta con gioia la vita così com’ è e percorre le fasi della sua esistenza in una costante autoaffermazione della propria volontà di potenza.

“La vita stessa è per me istinto di crescita, di durata, teso ad un’accumulazione di forze, alla potenza: dove manca la volontà di potenza, c’è decadimento.”[22]

In un mondo dominato dal caos e dall' irrazionalità, la sola necessità diventa quindi quella della volontà che vuole riaffermare se stessa. Riprende così il sopravvento la dimensione della volontà su quella dell’intelletto: il superuomo è colui che riesce ad identificare la propria volontà con quella del mondo in cui vive. La volontà di potenza come forza non ha altro scopo che quello dell’ebbrezza dionisiaca dell’atto continuo di forza. Essa si configura in tal modo come l’essenza metafisica del mondo: tutti gli stati e i modi di essere ricevono il loro valore soltanto dall’uomo che li considera come fini della sua volontà.

Le dottrine del superuomo e della volontà di potenza trovano il loro senso più compiuto in relazione al tema dell'eterno ritorno. In opposizione alla tradizione giudaico-cristiana che attribuisce al tempo una direzione lineare e una struttura articolata in passato, presente e futuro, Nietzsche nega l'esistenza di un fine del corso storico che trascenda i singoli momenti. Significati e direzioni sono solo prospettive interne al gioco di forze della volontà di potenza: ogni momento, e ciascuna esistenza in ogni attimo, ha tutto il suo senso in sé. Il superuomo, grazie all' accettazione gioiosa della vita così come è - nel passato, nel presente e nell'eternità - deve costruire un'esistenza in cui ogni momento abbia tutto intero il suo senso: l'eterno presente della vita. In tale ambito Nietzsche vuole sottrarre il senso dell’azione alla pura casualità. Infatti, il valore autentico dell’azione si trova sempre al di là del tempo, del numero, del dato contingente e quindi si trova in una dimensione temporale che supera l’ambito della finitudine.

2.2 – LA QUESTIONE ONTOLOGICA: IL SUPERUOMO COME CONTINUO DIVENIRE

A partire dalla follia di Nietzsche (1889), si sono susseguite numerose interpretazioni sul concetto di Superuomo e sulla dottrina della volontà di potenza. Vero è che il carattere frammentario e non lineare della sua intera opera rende di non facile comprensione il suo pensiero. Inoltre il modello espositivo adottato dal filosofo tedesco, anche a causa dei disturbi fisici che gli impedivano un lavoro prolungato, era basato sull’utilizzo di aforismi altamente simbolici. Ecco perché l’ intera sua opera, ed in particolar modo la più visionaria e complessa di tutte[23], si presta molto spesso ad interpretazioni del tutto personali e a volte discutibili. Un'altra grave responsabilità è da attribuire alla sorella di Nietzsche Elisabeth, responsabile dell’Archivio Weimar e colpevole di aver manipolato gli scritti postumi del fratello ed in particolar modo l’opera che porta il nome de “La volontà di potenza”, ottenendo così l’appoggio politico del nazionalsocialismo e rendendo ulteriormente complicato il lavoro di interpretazione del problematico pensiero nietzschiano.

Prenderemo qui in esame le interpretazioni filosofiche di maggior rilievo storico, ed in particolar modo quelle che vollero attribuire a Nietzsche, a torto o a ragione lo vedremo, il ruolo di profeta e ideologo precursore del nazismo. Il rischio è sempre quello di una lettura del superuomo inteso come colui che, ponendosi al di la del bene e del male, è l’unico creatore di tutti i valori e di conseguenza diviene responsabile solo di fronte a se stesso. Questa lettura della figura del superuomo prepara il terreno per una ben determinata interpretazione politica, che è quella tipica della tirannia. La coscienza del tiranno è infatti quella di sentirsi responsabile solo di fronte a se stesso. Tuttavia, l’ essenzialità della dottrina del superuomo non risiede in primo luogo in una connotazione qualsivoglia etica o politica. Essa deve essere anzitutto affrontata mediante la tematica della differenza ontologica tra uomo e superuomo. In altre parole, la differenza tra essere e ente. L’ intento di Nietzsche, e quindi di Zarathustra in quanto  annunciatore del superuomo, è quello di rappresentare la vita dell’uomo sotto l’aspetto della “possibilità”: l’uomo viene considerato come un continuo divenire, un continuo superarsi. In questa visione è certamente determinante su Nietzsche l’influenza del filosofo presocratico Eraclito, secondo il quale tutto il mondo viene considerato come un enorme flusso perenne nel quale nessuna cosa è mai la stessa poiché tutto si trasforma ed è in una continua evoluzione. Per questi motivi, Eraclito identifica la forma dell’Essere nel Divenire, giacché ogni cosa è soggetta al tempo e alla sua relativa trasformazione. Eraclito sostiene che solo il cambiamento e il movimento siano reali e che l'identità delle cose uguali a se stesse sia illusoria.

“L’uomo è qualcosa che deve essere superato”.[24]

“L’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, una fune sopra l’abisso. Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto”.[25]

Diventa quindi determinante il momento di superamento. Come ci fa notare Gianni Vattimo[26], uno dei più autorevoli studiosi di Nietzsche, sarebbe più appropriato tradurre l' ”Uber-mensch” nietzschiano con il termine di “oltreuomo”, in quanto esso non rappresenta una forma di umanità potenziata, ma piuttosto un qualche cosa che si colloca al di là di ogni esperienza umana precedente, e comunque a un altro livello concettuale-ontologico. Questa precisazione sottolinea l’importanza del prefisso tedesco “Uber” inteso come “andare oltre”, “superamento”, e meglio esprime la reale concezione di Nietzsche dell’uomo, visto come transizione e punto di passaggio verso una nuova dimensione che è principalmente una dimensione spirituale. Zarathustra vuole dire che il superare non implica un definitivo superare ma soltanto un continuo, ininterrotto superare: da qui la metafora della fune sospesa sopra un abisso. Senza la coscienza di questo continuo superare l’uomo non può considerarsi autenticamente uomo, cioè uomo come Superuomo, ma decade nello stato di animale. Se ci fosse un definitivo superamento, verrebbe meno la differenza ontologica; quindi il momento esistenziale del tendere deve rimanere per essenza un puro e indefinito tendere, dato che si tratta di un superare che deve rimanere in essenza sempre un superare.

2.3 – UNA NUOVA DIMENSIONE DEL DIVINO

Il “pensiero danzante” di Nietzsche, questa sua impostazione dinamica di finitudine non-finitudine, l’essere come divenire, l’uomo inteso come transizione e tramonto per una rinascita sempre nuova: tutto ciò contrasta con la dimensione di infinitudine propria della metafisica tradizionale, che colloca nel trascendente il fine ultimo della vita. In Nietzsche invece è essenziale l’immanenza, il “senso della terra”. Non c’è quindi più posto per la fede in un Dio trascendente. Ora l’elemento divino entra a far parte dell’uomo stesso: il continuo superamento dei propri limiti secondo la logica della volontà di potenza pone le basi per un nuovo modo di rivelarsi di Dio, che si configura così come l’ elemento culminante di un esistenza che è essa stessa un’ eterna divinizzazione. Dio non è più considerato come forza motrice ma solo come stato massimale dell’esistenza terrena: un punto nello svolgimento della volontà di potenza, nella continua dinamica esistenziale–ontologica di superamento come “volontà di”. In tale concezione Nietzsche intende mettere in luce il divino come una dimensione che non risulta essere fuori dall’uomo, ma anzi dipende da una continua conquista da parte di quest’ultimo. Il superamento di un nichilismo passivo per un nichilismo attivo ci offre in fondo una nuova dimensione del divino o, ancor meglio, una nuova essenza dell’uomo come apertura al divino. In tale contesto viene superato ogni concetto del divino inteso in modo oggettivo per un concetto esistenziale-ontologico del divino. E’ a questo riguardo che Nietzsche parla di una “trasvalutazione di tutti i valori”, ovvero una sorta di rivoluzione copernicana dello spirito, in quanto una concezione immanente e terrestre del divino prende il posto del Dio trascendente, sottraendo all’uomo ogni senso di sicurezza tipico della verità intesa in senso oggettivo.

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3

SUPERUOMO: INTERPRETAZIONI A CONFRONTO

3.1 STEIN E MAXI: LA STORICITA’ DEL SUPERUOMO

Tra i primi interpreti del pensiero di Nietzsche vi sono Ludwig Stein e Maxi, i quali espongono le loro teorie nell’ambito della problematica della cultura, collocandolo così in una teoria della filosofia della storia. Soprattutto Stein pone il pensiero di Nietzsche sullo stesso piano di quello di grandi pensatori come Marx ed Hegel[27]: tutti e tre ragionano sulla stessa problematica, anche se arrivano a conclusioni molto diverse tra loro. La problematica è quella del fondamento della storia, la cui origine è da trovare in un principio che, se per Marx è un principio materiale-economico e se per Hegel è un principio legato allo Spirito, per Nietzsche è un principio che trova fondamento nella logica della volontà di potenza. Ma tale volontà di potenza non è da confondersi con volontà di potere, come se si trattasse di un voler affermare il diritto del più forte. Quando Nietzsche parla di istinti originari, non intende alludere a tutte le manifestazioni istintive più basse ma intende fare appello agli impulsi originari capaci di esprimere la vita nella sua pienezza. Anche Maxi intende analizzare il pensiero di Nietzsche sotto un profilo storico, considerando così la sua filosofia come espressione del suo tempo[28]. Ecco perché, se si pretende accusare Nietzsche di essere nemico della morale, bisognerebbe aprire un discorso preliminare sul valore di questa morale, cosa che Nietzsche stesso fece. Secondo Maxi il nichilismo nietzschiano non è la volontà di negare una dimensione di verità e quindi di moralità, bensì la volontà di riconoscere la storicità della verità e di conseguenza la storicità dei valori etici. 

3.2 – STEINER, RIEHL E KAFTAN: LA FOLLIA DI NIETZSCHE COME CHIAVE INTEPRETATIVA DEL SUO PENSIERO

Originale interpretazione è quella di Rudolf Steiner[29], il quale considera Nietzsche come colui che si propone di chiarire il problema della verità in un modo più radicale rispetto a quello della tradizione filosofica. Il tema di fondo della riflessione di Steiner è il rapporto tra conoscenza e istinto, tra verità a livello logico e verità a livello sensibile. Steiner si propone di mostrare come la causa della malattia di Nietzsche non sia di natura mentale né tantomeno fisica, ma sia da ricondursi soltanto al suo dramma interiore irrisolto. In altre parole Nietzsche diventa vittima stessa della sua problematica, non riuscendo a metterla a fuoco sotto l’aspetto razionale: la constatazione che la verità oggettiva, quella a livello logico, non può esaurire il suo senso nell’esistere, lo avrebbe portato a polemizzare con tutto ciò che poteva essere chiarito sotto l’aspetto razionale. In Nietzsche la dimensione istintiva è infatti alla base di quella conoscitiva: il concetto di verità riceve la sua ultima spiegazione dalla stessa dimensione dell’istinto o, in altre parole, la volontà prende il sopravvento sull’intelletto. Su questa base concettuale Steiner spiega la distinzione nietzschiana tra l’uomo forte e l’uomo debole: l’uomo debole attribuisce alla verità un fondamento ideale e del tutto staccato dall’istinto, mentre l’uomo forte è quello che, attraverso la proprio volontà, interagisce con il proprio concetto di verità e in qualche modo se la crea da sé.

“Voi guardate in alto, quando cercate l’elevazione. E io guardo in basso, perché sono elevato.”[30]

L’uomo debole si troverebbe in tal modo a venerare come ideale ciò che in realtà egli stesso ha creato per la soddisfazione dei suoi impulsi repressi, mentre l’uomo forte non si piega a scopi impersonali ma cerca solo in se stesso lo scopo del suo esistere.

 “La mia verità è terribile, perché finora la menzogna è stata denominata verità. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per un atto di suprema riflessione dell’umanità su se stessa.”[31]

Pertanto l’uomo diventa superuomo non in quanto nega se stesso e si avvicina il più possibile a un modello, ma solo in quanto realizza ciò che gli sta a cuore nella sua dimensione individuale; a questo scopo è essenziale che esso si liberi da ogni tipo di ideale ascetico, sia questo costituito da un dogma religioso o dalla fede nella scienza, che deviano il flusso vitale lontano dal corpo e dal senso della terra.

Anche nella riflessione di A. Riehl[32] la malattia di Nietzsche e i suoi disturbi fisici si configurano come una chiave interpretativa della sua filosofia: Nietzsche sarebbe stato un ammalato che aveva però gli istinti dell’uomo sano, cosicché negli intervalli in cui non si faceva sentire il dolore egli si lasciava prendere dall’ebbrezza del vivere. Ciò rende ragione di quella profonda esigenza di più-di-vita, che diventa centrale nelle sue riflessioni: nel constatare la sua impotenza verso l’esterno a causa della continua malattia, egli scorge proprio nella volontà di potenza la più profonda sorgente dell’esistenza. Inoltre l’ateismo del filosofo sarebbe solo un ateismo apparente, in quanto la visione del superuomo e dell’eterno ritorno nascerebbero da profondi sentimenti religiosi. Tale è anche la visione di Kaftan[33], secondo il quale Zarathustra rappresenterebbe infondo la nostalgia di Nietzsche per il divino. Il pensiero del superuomo nascerebbe così dall’angoscia esistenziale per la perdita del Dio del cristianesimo. Kaftan è convinto che Nietzsche sia crollato all’improvviso ed in modo definitivo perché non poteva superare il tremendo peso dell’assenza di Dio di cui infondo non poteva fare a meno.

3.3 INTERPRETAZIONI NEGATIVE: TURCK E HARTMANN

Le prime interpretazioni negative della problematica nietzschiana risalgono alla fine dell’ 800, anni in cui si andava diffondendo il “mito” di Nietzsche, soprattutto tra i più giovani che consideravano “Così parlò Zarathustra” una sorta di anti-vangelo o anti-Bibbia. Molti autori configurano il pensiero del Superuomo come il risultato dell’ estremo sforzo intellettuale di un delinquente che voleva giustificare filosoficamente i suoi impulsi animaleschi. In particolare H. Turck[34] sostiene che, a partire dal 1876, incominciano a sprigionarsi quelle passioni bestiali che divengono così forti da causare a Nietzsche, che si sforza di domarle, continui dolori fisici. Il pensiero della trasvalutazione di tutti i valori, che è alla base di quello del Superuomo, deriverebbe proprio da questa particolare condizione fisica. Tali istinti bestiali, repressi soltanto sotto l’aspetto esterno, vengono sospinti all’interno. Ma si tratta di una repressione soltanto apparente, dato che a livello interno gli istinti non sono ancora superati e continuano ad agire. Questa sarebbe in fondo la ragione del perché la “bestia” nell’uomo Nietzsche non trova espressione a livello effettivo ma solamente a livello morale. Ed è pure la ragione del perché Nietzsche loda come ideale meraviglioso la volontà di potenza, che invece in tal modo si configura come espressione degli istinti più bassi: così l’unico valore possibile diventa quello offerto dalla vita istintiva e animalesca, che costituisce la misura del giudizio non solo della vita individuale ma pure della vita sociale e quindi della stessa storia. È la nuova concezione di verità propinata da Nietzsche, che viene giustificata dalla sua filosofia dell’istinto[35], secondo la quale una morale si rivela sana e secondo natura solo nella misura in cui essa è determinata dalla dimensione istintiva dell’uomo.

È da attribuire a E. Hartmann la critica più decisa e severa nei confronti di Nietzsche e del suo pensiero[36]. Hartmann considera il filosofo tedesco come il rappresentante più emblematico di un idealismo gnoseologico secondo il quale la realtà viene ridotta a una pura rappresentazione dell’ Io. In forza di questo presupposto egoistico, il mondo si configurerebbe semplicemente come l’ oggetto dei capricci dell’uomo violento a scapito dell’uomo di buon senso. Hartmann sostiene inoltre che il Superuomo nietzschiano sia in realtà la caricatura di una mascolinità non in grado di esprimersi in altro modo. Nietzsche possiederebbe così una natura debole e femminile: il disprezzo per l’uomo debole tradirebbe l’odio nei confronti della propria debolezza e il superuomo si configurerebbe come un ideale di liberazione per nature effeminate. La critica prosegue sul piano etico e politico, sottolineando il carattere spiccatamente anti-democratico e anti-sociale del superuomo: l’egoismo diventa infatti il fondamento di una nuova morale, che per Hartmann invece si configura come somma immoralità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 4

DERIVA DARWINIANA, GERMANESIMO ROMANTICO E GERMANESIMO BIOLOGICO

4.1 VAIHINGER: IL SUPERUOMO E LA PROBLEMATICA DI DARWIN

Diversi studiosi dei primi anni del 1900 danno un interpretazione del superuomo alla luce della problematica darwiniana della selezione naturale. Uno dei maggiori esponenti di questo filone di pensiero è Hans Vaihinger[37], il quale affronta la questione dell’ “Uber-Mensch” nietzschiano inteso come essere superiore appartenente a una sovraspecie. Tale essere superiore è il risultato di un processo evolutivo che non ha in sé un carattere teologico, in quanto il suo fine non ha una natura trascendente, ma al contrario è immanente alla vita stessa e si risolve nell’atto del continuo divenire e quindi nel continuo raggiungimento di uno stadio immediatamente superiore a quello precedente. In quest’ottica il Superuomo si rivela come l’emblema di un umanità futura nella quale il momento individuale passa in secondo piano rispetto a uno scopo più grande che consiste nella realizzazione di una specie di uomini superiori. Così, se è legge di natura che il più forte abbia il sopravvento sul più debole, non ha senso lamentarsi del male che deriva da questa situazione: l’atteggiamento pessimistico di colui che compiange la spietata lotta per l’esistenza si rivela come una debolezza contro natura e come una mancanza di riconoscenza nei confronti proprio di quella natura che tende a fare dell’uomo un combattente. Vaihinger mette in rilievo in quest’ambito la preferenza di Nietzsche per i Romani piuttosto che per i Greci. Infatti, a differenza del greco che è in particolar modo sensibile al fascino estetico, il romano si sente soprattutto un’ uomo d’azione. Il momento dell’azione mette in evidenza una concezione aristocratica e di conseguenza una concezione antidemocratica che, secondo Vaihinger, sarebbe essenziale in Nietzsche.

“Io sono a mio modo un guerriero. Attaccare fa parte dei miei istinti. Il saper essere nemico presuppone una natura forte. Una natura forte ha bisogno di resistenze, per conseguenza cerca la resistenza: il pathos aggressivo fa parte necessariamente della forza, come la vendicatività e il rancore fanno parte della debolezza. La forza di chi attacca ha una specie di misura nell’avversario di cui ha bisogno; ogni crescita si traduce nella ricerca di un avversario di maggiore taglia”[38].

Vaihinger ravvisa quindi nella democrazia un torto nei confronti della natura che ha creato gli uomini diseguali. La disuguaglianza di natura dovrebbe così comportare una disuguaglianza nei diritti, secondo la quale il più debole dovrebbe sottostare alla volontà del più forte. Egli è il primo a porre la questione dell’educazione intesa come allevamento della specie. Tuttavia è da notare che, anche se il suo ragionamento può essere annoverato tra i focolari da cui scaturirà l’ideologia del nazionalsocialismo, in esso è ancora assente l’elemento biologico della razza. Ad ogni modo la sua interpretazione funge da apripista per una determinata lettura dell’ “Uber-mensch” in chiave metafisica, dove viene posta in primo piano la dimensione eroica del superuomo quale uomo dotato di particolari virtù nobili e guerriere. Portata alle sue estreme conseguenze, tale interpretazione sfocia nelle problematiche del popolo e della razza, le quali vengono considerate come i cardini fondamentali di quel tipico fenomeno esistenziale-culturale rappresentato dal germanesimo, termine con il quale vengono richiamati alla memoria gli albori dell’antica civiltà guerriera germanica.

4.2 - BAEUMLER: GERMANESIMO ROMANTICO ED ESSENZA POLITICA DEL SUPERUOMO

4.2.1 IL PRINCIPIO METAFISICO DEL DIVENIRE COME CONTINUA LOTTA   

In tale ambito si colloca l’ interpretazione di Alfred Baeumler, il quale viene considerato come l’ideologo ufficiale del nazionalsocialismo e il pensatore più influente negli anni che segnano l’ascesa al potere di Hitler. Inserendo la figura di Nietzsche in un orizzonte storico, Baeumler considera il filosofo come il più grande fenomeno nella storia dello spirito tedesco. Ne emerge l’immagine di un Nietzsche eroico e quasi mitico, che porta avanti il discorso del recupero di un autentico germanesimo, che in questo senso acquista una valenza metafisica. Tale germanesimo, per sua intrinseca natura, non può mai essere considerato come un qualcosa di definito ma come un continuo farsi, un continuo perfezionarsi. Proprio in questo perenne farsi, esso lascia trasparire il suo punto di contatto con l’autentica cultura greca. La dimensione ellenica e la dimensione germanica si fondono così nel filosofare dionisiaco di Nietzsche. Si spiegherebbe così da una parte la lotta continua di Nietzsche nei confronti del cristianesimo, e dall’altra la sua critica ai tedeschi e alla cultura del suo tempo: il movente che le spinge è il medesimo, e cioè la volontà di mostrare ai tedeschi la loro autentica origine che fa capo al mondo greco presocratico. Si celebra così la diversità di fondo tra il mondo germanico, legato a una concezione del divenire, e il mondo latino, legato a un realismo dell’essere. Pertanto è il mondo germanico, e non già quello latino-cristiano, ad essere erede di quello greco.

Baeumler parte dal presupposto che Nietzsche sarebbe ad un tempo filosofo e politico, come è espresso nello stesso titolo del suo studio fondamentale del 1931[39]. Con ciò Baeumler vuole sottolineare che nel pensiero nietzschiano non si può distinguere il momento teoretico da quello pratico, quindi una corretta interpretazione del Superuomo deve saper accompagnare il passaggio dal concetto filosofico alla sua realizzazione effettuale nella storia.

 “Non con il nome di Dioniso, ma con il nome di Eraclito indichiamo l’immagine del mondo che Nietzsche ha disegnato. Ed è un mondo che non riposa mai, sempre in divenire; ma divenire significa lottare e vincere.”[40]

Il ragionamento di Baeumler trova il suo cardine fondamentale nella concezione eraclitea dell’essere come divenire, intimamente legata alla dottrina della volontà di potenza. La comprensione di tale dottrina comincia, secondo lui, nel momento in cui si rinuncia all’accoppiamento dei concetti di “volontà” e “scopo”. Infatti la volontà di potenza, così come la intendeva Nietzsche, non è un volere che ha per fine la potenza o che aspira ad essa. Essa di per sé non tende ad alcun fine e non conosce meta: la sua essenza risiede proprio nel suo continuo volere, nel suo eterno divenire che per Baeumler si configura come eterno lottare. La potenza non è quindi uno scopo della volontà, poiché essa è volontà stessa. La volontà vuole, dunque, solo sé stessa.

“Il volere non ha scopo alcuno che sia posto al di fuori di esso. Non vuole nulla per sé: “volontà” è soltanto un’espressione per la corrispondente condizione complessiva di un vincitore.”[41]

Più che come continuo superamento quindi, il divenire eracliteo viene inteso da Baeumler come continua lotta (Kampf). Questa considerazione determina una nuova concezione di verità: infatti, a una dimensione di verità statica e valevole per tutti si sostituisce una nuova concezione di verità che è dinamica e che conduce a un prospettivismo: al posto di un armonia prestabilita si pone il principio del divenire inteso come continua lotta. Tale concezione del divenire, che non conosce altro fine se non quello di divenire la cui interna molla è data dal principio di lotta, rappresenta il terreno dal quale sorge la tipica dimensione metafisica della volontà di potenza. Il posto del Dio morale viene così preso da una nuova concezione di divinità che è rappresentata appunto da questo principio del divenire come lotta. In essa la realtà si manifesta come accadere, cioè come insieme di momenti oggettivi che trovano nella lotta l’espressione ultima di equilibrio. Questa fondamentale considerazione si trova in contrasto alla concezione cristiana, dato che insegna che gli uomini non sono tra loro uguali e in quanto il concetto di lotta presuppone che ci sia un vincitore e uno sconfitto. Si tratta per Baeumler di una dimensione che non è a livello etico ma a un livello che è cosmico e ontologico ad un tempo, determinato in ultimo da leggi della natura. Ne deriva un concetto di giustizia che non conosce colpa e responsabilità: la dimensione nietzschiana di giustizia infatti si confonde con lo stesso divenire dell’uomo che è inteso come innocenza del divenire e nel quale non ha senso parlare di coscienza o di responsabilità. La dimensione della giustizia deve essere messa a fuoco solo nell’ambito della vita e deve servire soltanto ai fini di essa. In tal modo, la virtù della giustizia supera il livello etico ed è al di sopra di ogni distinzione tra bene e male. Il diritto deriva così dall’attività eccezionale del singolo che riesce a proporre di continuo valori sempre nuovi. Sempre dal principio fondamentale della lotta, costitutivo secondo Baeumler di una concezione della realtà che è greca e germanica ad un tempo, segue la dottrina della distinzione tra natura dello schiavo e natura del signore, che è essa stessa a livello metafisico. Strettamente unita a questa è la distinzione rispettivamente tra natura guerriera e natura pretesca. Il prete si richiama al Dio morale e perciò non conosce la lotta, dato che egli vince sempre se segue la volontà del suo Dio. Ne segue di conseguenza, per Nietzsche come per Baeumler, la critica alla concezione della realtà tipica della cultura illuminista, erede della coscienza socratica, che al Dio morale sostituisce la ragione quale nuova dimensione di divinità. È in comune alla concezione del prete e a quella dell’illuminista il fatto che in esse viene meno la dimensione della giustizia ontologica, dato che non vi è il momento della lotta. Nella concezione illuminista il momento sommo è infatti rappresentato dal principio dell’armonia della ragione che esclude la dimensione della lotta. A questa subentra una lotta apparente e quindi falsa, dato che fin dall’inizio vale la premessa della verità assoluta della ragione che sarebbe appunto una nuova espressione del Dio morale. Quindi l’illuminista e il prete si ritrovano in una stessa concezione morale della realtà. Ma l’uomo che crede a una ipotetica armonia, cioè a un mondo dove non esistono, quali momenti fondamentali, forze in continuo contrasto tra loro, si trova in fondo di fronte a uno stato di caos. Tuttavia la natura, secondo Baeumler, non può essere caotica dato che essa è per essenza espressione di una ferrea giustizia. Caotica diventa invece quella concezione che l’uomo si fa della natura quando tenta di distaccarsi dalla sua implacabile legge di giustizia, che vede inesorabilmente il debole soccombere al più forte. Di qui la conclusione di Baeumler che si deve ritenere umana solo una concezione del mondo che è sorretta dal principio ontologico del divenire come continua lotta, mentre la concezione morale del mondo, sia questo il mondo del prete o dell’illuminista, deve essere ritenuta non umana e quindi contro natura. Ecco perché, secondo Baeumler, Nietzsche amava la cultura greca: l’uomo greco dava libero sfogo all’istinto di potere e di vittoria, considerandolo assolutamente legittimo. La sua vita poggiava sull’agone, sulla lotta senza tregua allo scopo di risultare il migliore e vincere sull’altro.

“La lotta e il piacere della vittoria erano riconosciuti; e nulla divide tanto il mondo greco dal nostro quanto la tinta forte con cui venivano rappresentate alcune nozioni etiche, come ad esempio quelle di Eris e Nemesi. Il mondo cristianizzato concepisce la Nemesi (o invidia) solo alla stregua di un impulso meschino e malvagio; mentre nel mondo greco essa rappresentava lo stimolo all’autoaffermazione, al potere e alla vittoria.”[42]

4.2.2 UNA NUOVA CONCEZIONE DELLO STATO   

Il concetto metafisico del divenire come lotta presenta il terreno comune tra filosofia e politica. Più precisamente, il passaggio dal momento teoretico a quello pratico culminano, secondo l’interpretazione di Baeumler, nella concezione dello Stato. In questo modo riceve un senso nuovo l’individualismo nietzschiano, dato che l’essenza dell’individuo può realizzarsi soltanto in una dimensione politica che trova la sua espressione ultima proprio in una nuova concezione di Stato.

“La forza dell’individuo cresce nella misura in cui egli assume su di sé le esigenze di un popolo; mentre partecipa alle tensioni che hanno luogo tra le unità storiche mondiali, l’individuo si incammina lungo la strada che conduce alla grandezza. Per tutte le nature attive questa strada passa attraverso lo Stato. Non si deve cercare di trarre dall’opera di Nietzsche una dottrina dello Stato – essa ha però aperto tutte le strade a una nuova dottrina dello Stato.”[43]

Pertanto il terreno del collettivo nel quale si radica il momento di individualità non è tanto un vago concetto di umanità, ma piuttosto un’ unità concreta, come può essere una razza, un popolo o appunto uno Stato, che riceve in tal modo una sua configurazione metafisica e si rivela come espressione di una filosofia esistenziale-eroica di cui il Superuomo sarebbe l’espressione. In questa nuova concezione la figura di un capo nel senso germanico di condottiero prende il posto della figura di un politico rappresentante di una borghesia decadente. Si tratta del ritorno ad una concezione che è greca e germanica ad un tempo.

“Ecco una concezione germanica dello Stato: lo Stato come fenomeno eroico, come struttura egemonica, come prorompere di ogni istinto di grandezza, come mezzo ed espressione della lotta per la potenza suprema (…) E un tale spirito dello Stato, anziché perseguire una stabilità di potere economica e finanziaria, mostra un temerario dispregio per tutte le forme statiche di pensiero, poiché esso è assolutamente dinamico: lo Stato è là dove esiste grandezza, dove un capo (Fuhrer) audace esercita il comando su uomini bellicosi e si prefigge alte mire.”[44]

Baeumler colloca in quest’ambito la critica di Nietzsche nei confronti dello Stato moderno, inteso come istituzione di derivazione romana: con il suo apparato amministrativo centralizzato, la sua soffocante burocrazia, la sua pretesa di sottomissione e obbedienza, esso costituisce un entità del tutto estranea alla mentalità nordica. La vita dei popoli germanici si fondava infatti sulla stirpe e sulla federazione militare: il diritto originario e la guerra erano le due facce della stessa medaglia, che però non venivano mai fuse insieme in un'unica entità universalistica. E l’identica ostilità all’universalismo dello Stato, che notiamo presso i Germani, è riscontrabile anche nei popoli greci: questi hanno creato la più imponente epica guerriera del mondo, e tuttavia nell’Iliade non vi è alcuna traccia di uno Stato greco, ma solo di piccole città, ovvero città-Stato, che vivono in una condizione di perenne e reciproca ostilità. Attraverso il richiamo della grande metafisica greco-germanica, Nietzsche si propone così il superamento della secolare crisi della civiltà occidentale moderna, causata dagli influssi negativi del cristianesimo e dal consolidamento dello Stato liberal-democratico inteso come “ente amministrativo per l’allevamento di animali da gregge”[45]. Per Baeumler, l’essenza politica di Nietzsche viene fuori proprio quando Zarathustra fa del Superuomo il modello antitetico dell’ultimo uomo, ovvero del funzionario e del burocrate, dell’uomo completamente amministrato, che nella concezione statalista della società viene considerato come la forma più perfetta di organismo integrato. Nell’età eroica delle popolazioni germaniche invece, l’uomo è sostanzialmente un guerriero, gli istinti di eroismo e di sacrificio sono prevalenti e non risentono ancora del calcolo, della ricerca del compromesso e della mediazione tipica delle istituzioni liberali moderne. Diventa quindi necessario restituire il primato al Popolo il quale, possedendo per sua intrinseca natura un carattere dinamico orientato alla continua crescita, trova nella staticità delle regole dello Stato il suo nemico mortale.

“Da qualche parte ci sono ancora popoli e greggi, ma non più da noi, fratelli: da noi ci sono soltanto Stati. Stato? Che cos’è? Orsù! Aprite gli orecchi, perché ora vi dico la mia parola sulla morte dei popoli.”[46]

“Là dove lo Stato cessa – là guardate, fratelli miei! Non li vedete i ponti e gli arcobaleni del Superuomo?”[47]

Si ripropone così l’ ancestrale scontro tra spirito apollineo e spirito dionisiaco: l’estrema razionalità di cui lo Stato è espressione tenta di imprimere una forma e una struttura a ciò che, per sua stessa natura, è un agglomerato indefinito di sentimenti, di passioni, dove nulla ha senso se non all’interno di una concezione di continuo divenire, che per un popolo si configura con la ricerca di resistenze sempre nuove allo scopo di una grandezza e prosperità sempre maggiori. Al concetto statico di stato-nazione si sostituisce così quello dinamico di popolo, che acquista una valenza metafisica in quanto rappresenta l’espressione esistenziale dell’uomo come destino, in una dinamica che, in ultima istanza, si esprime nel concetto del continuo divenire e quindi nella logica della volontà di potenza. Nietzsche si configura così, agli occhi di Baeumler, come il capo spirituale di una nuova Germania, la quale aspira a diventare la guida (Fuhrer) dell’Europa per un recupero degli antichi valori greco-germanici, e dove venga sancita la supremazia dei popoli sugli Stati. 

“Nietzsche è il vero capo spirituale della nuova Germania che recupera la memoria dell’immenso compito storico che si erano già assunto gli imperatori di casa sassone e sveva, i quali però vennero fermati sulla loro strada per l’Italia proprio dal Papato e dai sovrani europei suoi alleati (…) Avanti ai suoi occhi rimane sempre l’antico compito della nostra razza: essere la guida (Fuhrer) dell’Europa.”[48]

In questo ambito prendono vita la concezione di un nuovo germanesimo tipica della cultura del nazionalsocialismo e la conseguente giustificazione politica del ruolo ricoperto da Hitler come destino e guida per il popolo tedesco. La realtà esistenziale del popolo assume poi una valenza ambigua: questa può essere intesa sotto l’angolo visivo romantico, cioè come depositaria di valori e tradizioni culturali, oppure può essere intesa sotto l’angolo visivo più strettamente biologico, cioè come razza. Se in Baeumler si riscontra soprattutto il primo aspetto, nei teorici del nazionalsocialismo dopo Baeumler viene sottolineato per lo più l’aspetto biologico. Questo aspetto viene portato alle sue estreme conseguenze, fino a cancellare il limite che distingue l’educazione umana dall’allevamento tipico delle bestie.

4.4 ROSENBERG: GERMANESIMO BIOLOGICO E MITO DELLA RAZZA

Se come filosofo di primo piano del nazionalsocialismo Baeumler introduce Nietzsche in modo del tutto ufficiale nella cultura di quel movimento, come intelligente interprete di Nietzsche egli riconosce pure i limiti profondi della problematica nietzschiana nell’ambito di tale cultura. Questo per il semplice fatto che in Nietzsche il concetto di vita non viene inteso in modo univoco in chiave biologica di razza. In tal modo, pure in Baeumler si può notare un processo di denazificazione di Nietzsche. Sotto quest’angolo visivo non è tanto Baeumler che deve essere ritenuto l’ideologo ufficiale del nazionalsocialismo, ma piuttosto Alfred Rosenberg. Questi è un intellettuale di dubbio valore, al quale non interessa che Nietzsche venga letto in chiave filosofica come un grande pensatore, ma piuttosto che venga letto in chiave politica come un grande tedesco.[49] Centrale nella sua riflessione è il collegamento tra la tematica del germanesimo e la dimensione del suolo e del sangue, che Rosenberg richiama direttamente dalla mistica di Meister Eckhart, secondo il quale ciò che vi è di più nobile nell’uomo è il sangue.[50] Secondo questa visione del mondo, il sangue viene considerato come la realtà ultima dell’uomo e della storia; non ha senso porsi il problema su una possibile realtà al di là di esso, poiché la realtà del sangue si converte con lo stesso piano del divino. Il fenomeno della razza acquista così un carattere religioso oltre che metafisico: l’individuo trova il senso profondo della sua esistenza solo in essa. Soltanto in essa lo spirito divino perviene alla sua completa realizzazione. A partire da tale presupposto concettuale la razza ariana, considerata anche alla luce della tematica di Darwin, si configura come l’auspicabile risultato di un determinato processo di selezione biologica che ha il dovere di preservarne la purezza. La distinzione nietzschiana tra signori e schiavi determina così, nella lettura che ne dà il nazionalsocialismo, la volontà di eliminare fisicamente gli uomini deboli e malriusciti allo scopo dichiarato della formazione di una razza di uomini superiori che deve dominare sugli altri popoli. Zarathustra viene visto così come il modello dell’uomo superiore, l’uomo della grande salute, che predica una religione della terra e del corpo in contrasto con la concezione dell’aldilà tipica della tradizione cristiana ed ebraica. Giulio Cesare, Niccolò Machiavelli, Cesare Borgia e Napoleone sarebbero le diverse designazioni assunte, nel corso della storia, da Zarathustra. L’ ultima incarnazione di Zarathustra risiederebbe appunto nella persona di Adolf Hitler. Nella cultura del nazionalsocialismo il concetto di razza viene inteso come un compito essenziale proteso verso l’avvenire: la razza trova così la sua realizzazione più autentica nella dimensione del futuro. Ciò implica di conseguenza una nuova concezione di nazione che divenga responsabile dell’adeguato svolgimento di tale razza, attraverso le azioni parallele dell’allevamento e dell’educazione. Questi due momenti pedagogici sono necessari perché, se la vittoria del nazionalsocialismo ha creato una nuova nazione tedesca, il popolo nel senso più puro del termine deve procedere in un continuo atto creativo che riguarda appunto i momenti costitutivi del sangue e dello spirito. Questa dinamica creativa a livello esistenziale è fondamentale per la purificazione della razza e quindi del popolo. Quindi la concezione individualista di Nietzsche viene sempre più messa da parte e considerata dal Reich tedesco come un male. Alla dimensione del singolo subentra quella del popolo, che però ha perso del tutto i connotati romantici di Baeumler per acquistare invece un carattere positivo e scientifico, dato che il suo interno svolgimento è determinato da leggi puramente biologiche. Nella dottrina di igiene della razza rientra anche la giustificazione dell’ antisemitismo, il quale si colloca all’interno di una concezione del mondo determinata da un principio dualistico tra anima e materia: alla sommità si trova la razza ariana, che rappresenta l’apice della spiritualità, mentre alla parte opposta si trova l’ebreo il quale, oltre ad essere l’emblema del predominio della morale degli schiavi, rappresenta anche l’incarnazione di tutto ciò che è materiale. Dato che la luce non può esserci senza le tenebre, il tedesco ha bisogno dell’ebreo come polo opposto e quindi come ciò che condiziona lo sprigionarsi della luce.

 

CAPITOLO 5

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

5.1 DENAZIFICAZIONE DI NIETZSCHE

La cultura del nazionalsocialismo, che si sforza di mettere in luce i momenti fondamentali di una cultura germanica, non può non incontrare in questa sua azione culturale un pensatore come Nietzsche. Tuttavia lo stesso Baeumler è convinto che ci sono dei limiti di cui deve tener conto il nazionalsocialismo nel tentativo culturale di recuperare il pensiero di Nietzsche. D’ altra parte, Baeumler ci tiene a far notare che nella sua formazione iniziale la concezione dottrinale del nazionalsocialismo non deve niente a Nietzsche e solo a partire dal 1933 si sarebbe incominciato a sollevare il problema di questo rapporto. A tal proposito si può ricordare che pure Hitler, nel suo “Mein Kampf”[51] del 1926, cita diverse volte Schopenhauer, mentre ignora del tutto Nietzsche. Il mito di Nietzsche venne successivamente incorporato dalla cultura ufficiale del partito nazista soprattutto grazie all’enorme popolarità di cui godeva il filosofo. Probabilmente, se Nietzsche fosse vissuto a quel tempo, sarebbe stato messo da parte da Hitler non solo per le sue concezioni di carattere problematico, ma anche proprio a causa della sua popolarità. Ed è molto probabile anche che, a sua volta, lo stesso Nietzsche avrebbe polemizzato contro le artificiose forzature dottrinali di cui si servivano gli pseudo-intellettuali del regime nazista per giustificare il loro dominio politico. In particolare, nella lettura di Nietzsche data dai teorici del nazionalsocialismo, possiamo trovare due distorsioni concettuali di fondo: la prima risiede nella concezione darwiniana del superuomo che, come abbiamo visto, costituisce il terreno fertile per il sorgere delle dottrine dell’igiene della razza e della selezione biologica, determinate a loro volta da un fanatismo xenofobo del tutto estraneo al Nietzsche uomo e filosofo. Una riflessione alla luce della legge di Darwin non sembra cogliere in pieno la questione ontologica del superuomo nietzschiano, secondo la quale il superamento avviene su un terreno spirituale e non deve essere mai definitivo. Un’ evoluzione in senso darwiniano è invece a livello biologico-scientifico e presuppone il susseguirsi di diversi stadi evolutivi nei quali una singola fase rappresenta il definitivo superamento della fase precedente.

“La parola “superuomo”, una parola che in bocca a Zarathustra, distruttore della morale, diventa una parola molto seria, è stata intesa, quasi dappertutto, con piena innocenza, nel senso di quei valori, il contrario dei quali si è manifestato nella figura di Zarathustra, voglio dire come tipo “idealistico” di una specie di uomo superiore, mezzo “santo” e mezzo “genio”… Altro dotto bestiame cornuto mi ha sospettato per questo di darwinismo; vi si è perfino riconosciuto “il culto degli eroi”, da me così duramente respinto…”. [52]

Tale concezione determina inoltre, come conseguenza, una linea temporale articolata in passato, presente e futuro e si trova così in un’ insanabile contraddizione con la dottrina nietzschiana dell’eterno ritorno, che di fatto molti teorici del nazionalsocialismo accantonarono. Infine, è da sottolineare il fatto che un processo evolutivo, nel senso darwiniano del termine, necessita di una durata di gran lunga superiore alla vita di un singolo uomo: viene così meno la dimensione individuale che è invece centrale nel pensiero di Nietzsche. Su questo aspetto si consuma quindi la seconda distorsione di fondo. La realtà della coscienza del singolo, che è appunto una dimensione tipicamente nietzschiana, viene considerata come tipicamente giudaica dalla cultura nazionalsocialista che, come abbiamo visto, si sforza di reinterpretarla in una concezione metafisico-religiosa di popolo: una concezione che, se nella riflessione di Baeumler conserva dei connotati romantici, in quella di Rosenberg degenera in un’ottica scientifica e positivista.

5.2 LA DIMENSIONE ANTI-SOCIALE DEL SUPERUOMO

Nietzsche non riesce, e probabilmente non era nemmeno il suo intento, a chiarire il rapporto tra momento individuale e  momento sociale. A questo proposito risulta interessante la riflessione di Georg Simmel, il quale afferma che in Nietzsche è sempre presente ciò che egli definisce un’ “esigenza psicologica della distinzione”[53], la quale spiegherebbe l’opposizione di fondo che vi è, in lui, tra valori sociali e valori umani. Infatti per Nietzsche l’elevazione spirituale del tipo umano non dipende da una conquista da parte della massa ma dal raggiungimento di vette solitarie da parte del singolo. Tale concezione non si trova neppure in una società di natura aristocratica, nella quale la media dei valori è data dalle classi superiori. Per Nietzsche ogni elevazione delle qualità umane è solo fine a se stessa e non già mezzo per il progresso della società. In poche parole l’interesse sociale è sacrificato all’interesse umano e l’ elevazione dell’individuo dipende solo dalla distanza, in forza della quale ciascuno riesce a separarsi dall’altro. Quindi la grandezza dell’uomo non si misura dalle azioni ma dall’essere altro, cioè dal potersi distanziare dagli altri. Tale problematica della distinzione mostra chiaramente il carattere anti-sociale del Superuomo: la disuguaglianza e il distanziamento diventano condizioni necessarie e imprescindibili per l’elevazione dell’ essere umano. Ne deriva una sorta di anarchismo dal quale risulta impossibile ricavare una dottrina dello Stato. Non a caso Nietzsche vede un’ opposizione antitetica tra individuo e Stato: non viene mai chiarito dove cessa il diritto del singolo di procedere all’affermazione di sé stesso e dove invece cominciano le pretese della società organizzata. Zarathustra non parla mai di una misura ma solo dell’amore per ciò che è “lontano”. Il “suo” Superuomo è espressione di Dioniso, che è il Dio dell’ indeterminatezza: esso ama la danza, ama staccarsi dal suolo perché tutto proteso verso ciò che è “oltre”. In questo senso lo Stato rappresenta la sua morte, poiché esso è l’imposizione di norme e vincoli, in lui vi è il compito di strutturare e determinare il rapporto tra il singolo e la comunità.

5.3 NIETZSCHE POLITICO O IMPOLITICO?

“Nessuna situazione politica o economica merita che possano e debbano essere proprio gli spiriti più dotati ad occuparsene; questi sono e rimangono campi di attività per le teste mediocri”. [54]

Data la mancanza di elementi che possano determinare una sua specifica concezione politica, si potrebbe muovere a Nietzsche l’accusa di essersi solo limitato a demolire e di non aver saputo costruire, cioè di non aver portato la sua problematica fino alle estreme conseguenze, rendendo così possibili le strumentalizzazioni di cui è stato oggetto il suo pensiero. Potremmo tuttavia interpretare lapparente apoliticità di Nietzsche come il tentativo di mutare in profondità il concetto stesso di politica, di interpretarla come arte di costruire una civiltà, di far trionfare i valori di affermazione ed elevazione della vita su quelli di negazione e decadenza. Una reinterpretazione della politica, quindi, entro una prospettiva esistenziale, dove si affermino la centralità dei valori spirituali e l’esigenza di cercare su tale piano la sola meta politica valida.

“il concetto di politica si sarà allora completamente dissolto in una guerra di spiriti, tutti i potentati della vecchia società salteranno in aria – essi riposano tutti sulla menzogna: ci saranno guerre come sulla terra non ce ne sono ancora state. Solo da me in poi ci sarà sulla terra una Grande Politica.”[55]

Zarathustra non annuncia uno stato ideale futuro, ma predica soltanto una concezione di vita intesa in senso aristocratico: un’ aristocrazia della volontà, che racchiude in sé una dimensione religiosa. Questa dimensione religiosa, come abbiamo visto, non consiste tanto nel cogliere il sovrasensibile e l’eterno, quanto nel saper suscitare nell’ambito del terreno, del finito, una concezione di vita la più alta possibile. Questo è il compito della “Grande Politica”, ovvero il compito del Nietzsche politico, di fronte al quale il nazionalismo tedesco e il suo complementare opposto, ovvero l’antisemitismo, sono davvero poca cosa. Lo stesso Nietzsche definiva il nazionalismo come “una nevrosi nazionale di cui l’Europa è malata”, la causa della perpetuazione della “piccola politica dell’Europa degli staterelli”[56]. Ai suoi occhi, dato che di fronte all’uomo si ponevano compiti superiori, il nazionalismo e la “bugiarda impostura delle razze” si configuravano come qualcosa di ingannevole o comunque come un segno di arretratezza.

“Si deve essere addestrati a vivere sui monti – a vedere sotto di sé il miserabile ciarlare di politica ed egoismo dei popoli, proprio del nostro tempo. Si deve essere diventati indifferenti, non si deve mai domandare se la verità sia utile, se essa diventi per qualcuno una fatalità…”[57]

Quella di Nietzsche è quindi un’ ansiosa e traviata ricerca per permettere all’uomo di divenire nuovamente padrone del suo destino; la sua opera è allo stesso tempo la diagnosi di una decadenza culturale, di una crisi di quella civiltà sorta sulle ceneri della civiltà classica e di cui il cristianesimo è stato il motore spirituale e politico. Il suo obiettivo è quello di dischiudere all’uomo la sua dimensione originaria, allo scopo di innalzare la vita alla realtà di un vivere dionisiaco, caratterizzato da un’ inclinazione positiva e da un coraggioso adattamento al dolore, affinché si abbia il trionfo della vita come volontà di potenza. Solo allora la vita si rivela come gioia autentica, nonostante non sia possibile eliminare il dolore. Così, se si abbandona il mito del superuomo come uomo superiore nel senso di eroe e di tiranno, riesce più facile comprendere che la dimensione di superamento del Superuomo collima in fondo col continuo sforzo di mettere in questione ogni verità già annunciata e di cogliere quindi i limiti di essa.

La lettura di un pensatore come Nietzsche è difficile: il suo pensiero è troppo profondo per essere capito da quegli intellettuali che mostrano la loro fiducia a-critica nell’intelletto calcolante. Così pure, egli è troppo profondo per essere capito da quegli intellettuali che si soffermano ai singoli aforismi, piegandoli allo spirito del tempo. Non è tuttavia facile, anzi, quasi impossibile esprimere un giudizio definitivo su tutta la sua complessa tematica. Ogni giudizio deve rimanere sempre aperto, dato che la sua caratteristica fondamentale è quella di essere problematica. Si tratta di una problematicità determinata dal fatto che ciascun lettore può avvicinarsi ad essa secondo la propria sensibilità personale. E sono proprio le singole sensibilità a determinare, ogni volta, interpretazioni sempre diverse e contraddittorie tra loro. Scopo del presente lavoro non era di fornire un’interpretazione definitiva di tale tematica, ma piuttosto di effettuare una profonda riflessione sugli aspetti latenti di quest’ultima, e cercare di capire fino a che punto la dottrina filosofica possa sfociare in determinati intendimenti di carattere politico. Ma esiste un incolmabile scarto ontologico tra il concetto filosofico e il concetto politico, ovvero tra le complesse e delicate strutture e architetture filosofiche e le rozze trame ideologiche dei politicanti, tra la filosofia nel suo senso più puro e l’ideologia politica in senso deteriore. Ad esempio, non si può mettere sullo stesso piano la filosofia di Nietzsche e quella di Marx, che era invece esplicitamente orientata alla rivoluzione. Nel suo precipitato politico, il destino di una dottrina filosofica come quella di Nietzsche è quello di impoverirsi, irrigidirsi, schematizzarsi, irrozzirsi: perché queste e non altre sono le condizioni della sua efficacia pratica. “Ma impoverita, irrigidita, schematizzata e irrozzita, essa non è e non si può più dire la stessa. Per ritrovarla nella sua genuinità e nel suo naturale respiro e ambiente, bisogna rivederla e ricostruirla nel suo nascimento e non nei suoi effetti, coglierla nella sua sorgiva purezza e freschezza e non nel suo imbastardimento e secchezza”[58].

  

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Alfieri L., Apollo tra gli schiavi, Franco Angeli – Milano 1984

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Nietzsche F., Così parlò Zarathustra, Newton – Roma 2007

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Nietzsche F., L’ anticristo, Adelphi – Milano 2005

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SITOGRAFIA

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“Tutte le cose dritte mentono.

Ogni verità è curva.”

 

F. NIETZSCHE, COSì PARLò ZARATHUSTRA

Terza Parte, DELLA VISIONE E DELL’ENIGMA



[1] F. Nietzsche, L’innocenza del divenire. Antologia dai frammenti postumi 1869-1888, Milano, Rusconi, 1999, p.220

[2] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, 1872

[3] F. Nietzsche, Ecce Homo, BVS 2004, p. 85

 

[4] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 85

[5] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 86

[6] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 86

[7] F. Nietzsche,  Genealogia della Morale, 1888

[8] F. Nietzsche, Genealogia della morale,  Bur 2005, p. 48

[9] . Nietzsche, Genealogia della morale,  Adelphi 2008, p. 9

[10] F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi 2008, p. 33

[11] F. Nietzsche, Ecce Homo, BVS 2004,  p.145

[12] F. Nietzsche, Ecce Homo, BVS 2004,  p.104

 

[13] F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi 2008, p. 55

[14] F. Nietzsche, Ecce Homo, BVS 2004, p. 72

[15] F. Nietzsche, Ecce Homo, BVS 2004, p. 139

[16] F. Nietzsche, L’anticristo, Adelphi 2005, p. 9-10

[17] F. Nietzsche, L’anticristo, Adelphi 2005, p. 10

[18] F. Nietzsche, Ecce homo, Bvs 2005, p. 138

[19] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p. 31

[20] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p. 44

[21] F. Nietzsche, Ecce homo, Bvs 2005, p. 86

[22] F. Nietzsche, L’anticristo, Adelphi 2005, p. 7

[23] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1887

[24] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p.54

[25] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p.32

[26] G. Vattimo, Il soggetto e la maschera, 1974

[27] L. Stein, Friedrich Nietzsches Weltanschauung und ihre Gefahren, 1893

[28] Maxi, “Nietzsche-Kritik”. Ein Beittrag zur Kulturbeleuchtung der Gegenwart, 1895

[29] R. Steiner, Friedrich Nietzsche ein Kampfer gegen seine Zeit, Weimar 1895

[30] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p. 49

[31] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 136

[32] A. Riehl, Friedrich Nietzsche. Der Kunster und der Denler, 1897

[33] J. Kaftan, Das Christentum und Nietzsches herrenmoral, 1897

[34] H. Turck, F. Nietzsche und seine philosophhischen Irrwege, 1891

[35] O. Ritschl, Nietzsches Welt-und Lebensanschauung in ihrer Enstehung und Etwicklung dargestellt und beurteilt, 1987

[36] E. V. Hartmann, Ethische Studien (Nietzsches “Neue Moral”), 1988

[37] H. Vaihinger, Nietzsche als Philosoph, 1902

[38] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2005, p. 51

[39] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, 1931

[40] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 16

[41] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 40

[42] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 74

[43] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 138

[44] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 139

[45] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 73

[46] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p. 55

[47] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton 2007, p. 56

[48] A. Baeumler, Nietzsche filosofo e politico, Ar 2003, p. 139 – 148

[49] A. Rosenberg, Friedrich Nietzsche, 1944

[50] M. Eckhart, Dell’uomo nobile. Trattati, Adelphi 1999

[51] A. Hitler, Mein Kampf, 1926

[52] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 76

[53] G. Simmel, Schopenhauer e Nietzsche, 1907

[54] F. Nietzsche, Aurora,  Adelphi 2005, p. 179

[55] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 137

[56] F. Nietzsche, Ecce Homo, Bvs 2004, p. 132

[57] F. Nietzsche, L’anticristo, Adelphi 2005, Prefazione

[58] S. Giametta, Commento allo Zarathustra, Bruno Mondadori 1996, p. 321

Ultimo aggiornamento ( Domenica 12 Luglio 2009 08:28 )