7. Nietzsche e l’Illuminismo

 

E’ ora opportuno fare chiarezza sull’inquadramento culturale del pensiero di Nietzsche.Oltre ai tanti dubbi interpretativi espressi dalla critica in merito ad alcuni concetti chiave della filosofia nietzscheana, infatti, esiste un problema di “collocazione”. In molti si chiedono: Nietzsche è un illuminista? Beck parte da una considerazione provocatoria, che per metà afferma e per metà nega tale parentela:

“Se è vero che l’Illuminismo non può essere confutato, in quanto ogni tentativo di metterlo in discussione costituisce una riaffermazione, allora esso, l’illuminismo, ha in Nietzsche uno dei suoi più grandi sostenitori.”[340]

In realtà, è anche una questione di prospettiva. Se indugiamo sul suo rilancio dell’antropomorfismo, improntato all’abbandono delle verità metafisiche “e al ritorno all’uomo, riflettendo sull’abbattimento dei pregiudizi e sul carattere “antitradizionalista” che ammanta in toto il suo pensiero, la risposta non può che essere affermativa.

Come sostiene Blunck, difatti, “Nietzsche combatte contro un’epoca che sempre più si abbandona ad una menzogna senza speranza, contro la propria felicità, contro la gloria e persino la passione del cuore. Quella di Nietzsche è un’azione che non può venire turbata, né annullata da alcun suo effetto, per quanto equivoco o addirittura terrificante.”[341]

Prima di accostare Nietzsche all’Illuminismo, però, occorre preliminarmente chiarirne due accezioni: un Illuminismo in “senso lato” ed un Illuminismo in “senso stretto”. Il primo tenta di far luce su superstizioni, credenze e costumi al fine di smontarle e può senz’altro esser accostato a Nietzsche che, alla maniera in cui secoli prima fecero gli epicurei, i sofisti e gli scettici, cerca di abbattere la tirannia delle “verità assolute” e del sapere tradizionale. Proprio ad Epicuro - grande illuminista dell’antichità - Nietzsche si ispira non poco.[342]Tuttavia, se si considera la seconda accezione, secondo cui l’Illuminismo è caratterizzato non solo dalla funzione “antioscurantista”, l’inserimento di Nietzsche fra gl’illuministi si fa più improbabile.[343]Dunque, se può porsi la questione se Nietzsche sia o meno illuminista, ciò può avvenire solo in relazione all’Illuminismo in “senso lato”. Anche in questo caso, però, la risposta non è semplice. Che per un certo periodo Nietzsche ebbe un atteggiamento illuminista è certo. [344]Nietzsche non è immune dagli influssi dell’Età dei Lumi, e ne introietta alcuni caratteri che restituisce a suo modo.[345] Ciononostante, non tutti gli concedono la patente di illuminista nemmeno “in senso lato”. Molti critici, infatti ritengono ingannevole insistere troppo sul carattere neo-illuministico del pensiero nietzscheano, poichè l’Illuminismo avversa la tradizione in nome di una ragione nella quale ha fiducia assoluta, elemento, questo, che certamente non contraddistingue Nietzsche.[346] Basti pensare alla violenza con cui si scaglia contro la “morale razionale”, definita, in termini sprezzanti, la “Circe dei filosofi”. [347]E la perenne polemica con Kant, - monumento dell’Età dei Lumi - non è forse una dichiarazione di guerra all’Illuminismo? Senz’altro, il fenomeno Nietzsche, interpolato, stravolto e quasi sempre male interpretato, non unisce la critica neanche stavolta. Il passaggio da La Nascita della tragedia ad Umano, troppo umano - letto come il segno inequivocabile dell’approdo a posizioni illuministe - segna, per il filosofo, l’abbandono della metafisica e del pessimismo schopenhaueriani, per la psicologia ed il moralismo.[348]Contemporaneamente, Nietzsche accoglie gli echi dell’ottimismo positivistico: è un cambiamento evidente anche presso chi lo frequentava.[349] Lo stesso Burckhardt, che Nietzsche conobbe negli anni di Basilea, rileva in Umano, troppo umano forti venature positivistiche. Comte in filosofia, il naturalismo di Zola in letteratura. Nietzsche presta orecchio - ad ogni livello - a tutto ciò che lo circonda. Nella sua evoluzione, notiamo, una volta di più,come non sia affatto possibile parlare di un solo Nietzsche - forse neanche di due, come abbiamo precedentemente sostenuto - ma la nostra analisi richiede una summa di questo personaggio così intellettualmente vivace.

Possiamo più correttamente sostenere con Janz, che poiché Nietzsche “non era destinato ad essere il guardiano della tradizione, bensì l’annunciatore di un’epoca nuova, che andava già poderosamente destandosi”[350], nella sua filosofia sono necessariamente presenti tutti questi fermenti, la cui combinazione dà vita a qualcosa di nuovo. Janz considera che, alla luce del trittico di opere del “Nietzsche illuminista“ (Umano, troppo umano, Aurora e Gaia scienza), egli vada ritenuto debitore dell’Illuminismo per l’estensione dell’orizzonte a problematiche nuove finora non considerate, che non sono più i “giri d’orizzonte di Bayreuth”.[351]

In verità, l’illuminista Nietzsche è lo stesso Nietzsche scettico e relativista – è, forse, per questo che non resta mai fedele ad una ed una sola weltanshauung - che esprime come “ogni statuto umano sia appunto una cosa statuita dall’uomo e non donata dalla trascendenza”[352].

Mittner, nella sua monumentale Storia della letteratura tedesca è più indulgente nell’inquadrare Nietzsche tra gli illuministi, sia pure con le dovute precisazioni. Citando un frammento di Ecce homo - “poiché a prescindere dal fatto che sono un decadente, ne sono anche l’opposto”- egli sostiene che il pensatore di Rocken sia innanzitutto un decadentista ante-litteram e, allo stesso tempo, un antidecadentista, con riferimento allo stato in cui versa l’uomo contemporaneo. Egli, però, ritiene che, pur se intimamente e profondamente antidecadentista, Nietzsche non possa mai prescindere dalla propria decadenza, “infatti, assai spesso il decadente afferma e nega ad un tempo sé, poiché la decadenza stessa è negazione”.[353]

Alla propria impotenza e debolezza, il decadente oppone una “volontà di forza”, in grado di creare quello che Thomas Mann chiama “eroismo della debolezza”. Il incondizionato alla vita da parte di Nietzsche può considerarsi frutto del cosiddetto “eroismo della debolezza” in quanto, pur riconoscendo che è un male, egli l’accetta ugualmente, riuscendo a trovare in essa rari, ma intensi attimi di felicità.[354]

Quanto al suo “illuminismo da spirito libero”, Mittner precisa che esso“non si basa sulla ragione astrattamente concepita, come tanto spesso in Voltaire, ma sulla finezza e la sincerità in psycologicis, su una diretta esperienza della realtà psichica e psicofisica, sulla sensibilità cioè che sola può comprendere la realtà della vita altrui -e propria”.[355] In tal modo, Nietzsche ripudia quella filosofia che da Socrate in poi va di moda e che cerca la verità “in sé”, tentando di cogliere quell’ effettiva verità, attingibile solo tramite una grande finezza psicologica e, soprattutto, una sincerità disarmante.[356] Comunque - avverte Mittner - “distinguere Nietzsche in un periodo romantico, uno illuministico ed uno dionisiaco è arbitrario, in quanto, per esempio, la figura di Dioniso accompagna Nietzsche dalla prima opera agli ultimi frammenti”.[357]

Possiamo, in definitiva, ritenere Nietzsche un illuminista o no? Probabilmente è più corretto pronunciarsi per il no. In realtà, infatti, le battaglie nietzscheane hanno un carattere ben diverso rispetto a quelle fatte da illuministi “indiscussi”, quali Kant o Rousseau. Un esempio su tutti: la battaglia contro l’antropomorfismo religioso.[358] Come Nietzsche, sia gli illuministi francesi ed inglesi, che i sofisti – cui il nostro tributa lodi copiose -[359]si battono contro di esso. Ma la lotta di Nietzsche è il risultato della reazione alla metafisica di Schopenhauer, che non riesce ad opporre serie argomentazioni a quell’antropomorfismo “semi religioso” che Kant ha imposto al sapere. È attraverso l’antropomorfismo stesso, che Nietzsche approda al nichilismo. Ebbene, esiste un concetto più “anti- illuminista” del nichilismo? Cosa c’è di più anti- illuministico della sfiducia nella ragione? Il libertarismo, l’esaltazione dell’individuo, l’antitradizionalismo di Nietzsche sono senza dubbio aspetti importanti della sua filosofia, ma non sufficienti per iscriverlo a pieno titolo tra gli illuministi stricto sensu.

 


 

 

 

 

 

Capitolo III°: La sintesi

 

Sommario:

1. “Buono” more nietzscheano” versus “buono” more kantiano                

2. Nietzsche, Kant e Dio                                                                              

3. Conclusioni                                                                                                

Schema della dialettica Nietzsche - Kant

 

 

 

 

 

 

 

 


 

1. “Buono” more nietzscheano versus “buono“ more kantiano

 

Che volontà di potenza ed imperativo categorico siano concetti antitetici, rivelanti impostazioni filosofiche incompatibili, è già stato spiegato.[360]Nietzsche matura la propria antitesi, proprio partendo dalla opposizione all’imperativo categorico.[361] “Sa di crudeltà” - afferma sdegnato. Tuttavia, il contrasto cui ci riferiamo investe vari aspetti. Nietzsche colloca lo spirito libero in una sfera “individuale e individualista”[362]dal carattere originale, creativo e, sostanzialmente, “antitradizionale”:

“Si chiama spirito libero – dice - chi pensa diversamente da come, basandosi sulla sua origine, sul suo ambiente sulla sua situazione e sulla sua funzione, oppure sulle opinioni dominanti in un determinato tempo, crediamo che egli possa pensare. Egli è l’eccezione, mentre gli spiriti schiavi, sono la regola, e questi ultimi gli rimproverano i suoi liberi principii, dicendo che essi derivano dal male e spingono ad azioni indipendenti e cioè ad azioni non compatibili con la morale degli schiavi… non è proprio degli spiriti liberi l’aver delle idee giuste, quanto piuttosto l’essersi sbarazzati di una tradizione. Di solito essi hanno dalla loro parte la verità o almeno la volontà di cercare la verità: essi vogliono delle ragioni, mentre gli altri si accontentano della fede”[363].

Nietzsche-Zarathustra parla agli individui, esortandoli - uti singuli- a superarsi. Kant, invece, estende l’imperativo categorico a livello universale, rivolgendosi alla totalità degli uomini come fossero una sola persona. La coscienza - sostiene Kant- parla a tutti nello stesso modo e le leggi della ragione sono, per definitionem, date. È alla cosiddetta “tirannia della ragione” che impone a tutti il suo tu devi che, in uno slancio “artistico-filosofico”, Nietzsche oppone lo spirito libero, assegnandogli il compito di creare nuovi valori e nuovi modelli, contraddistinti dall’attaccamento alla terra. Tutto ciò, in evidente polemica con il platonismo di cui ritiene “affetta” l’intera filosofia kantiana, che sacrifica di buon grado la sfera dionisiaca tout court sull’altare della Dea Ragione.[364]

Lo spirito libero, infatti, è istinto puro, che si erge al di là dei concetti di bene e di male e vola oltre quelle categorie che determinano - tramite false premesse - l’essere buono o cattivo dell’uomo, collocandosi oltre gli steccati della ragione, che fornisce una risposta uguale per tutti e in tutte le situazioni. Lo spirito libero replica a tali risposte con nuove domande, consapevole che tutto è “processo”, tutto “divenire”, tutto “relativo”.

Questo (lo spirito libero) “diventa maturo e dolce fino alla sua perfezione, quando ha vissuto la sua vicenda decisiva in una grande separazione. Prima egli era uno spirito prigioniero, che sembrava incatenato per sempre alla sua catena e alla sua colonna”[365]

Per Kant, “l’uomo buono “ è colui che si identifica nella affermazione “debeo, ergo sum liber”; per Nietzsche invece, l’”uomo buono” afferma : “volo ergo sum liber”.

“La forma pratica - sostiene Kant - consiste nell’attitudine delle massime a una legislazione universale e determina innanzitutto ciò che è buono in sé e assolutamente”.[366]

Quell’“assolutamente” indica che se è la sola ragione a comandare il dovere, ciò è “bene”; se viceversa vi concorrono le inclinazioni, è “male”. I soli oggetti della ragion pura pratica sono proprio il bene e il male. Col primo s’intende un oggetto “necessario” della facoltà del desiderare, col secondo un oggetto “necessario” della facoltà dell’aborrire, entrambi secondo un principio della ragione.[367]

Dal canto suo, Nietzsche concentra la propria analisi sugli istinti e sulle inclinazioni, denunciandone la mortificazione. La consacrazione al dovere razionale per l’uno, alla volontà irrazionale per l’altro, dunque, costituiscono l’unico veicolo di elevazione dell’uomo. Kant individua nella “legge morale“la condizione suprema della moralità. Egli sostiene che la libertà[368] è causa della “legge morale” e, contemporaneamente, segno rivelatore della libertà stessa. La libertà, dunque, è “causa essendi” della “legge morale”, che a sua volta è “causa cognoscendi” della libertà. In ottica kantiana, perciò essa è causa ed effetto –presupposto e compimento - della “legge morale”. In quest’ottica, solamente chi compie azioni morali può dirsi autenticamente libero, poiché nella dialettica fenomeno/noumeno abbraccia decisamente il secondo, ergendosi al di sopra del determinismo proprio delle “leggi naturali”. E’, infatti, la ragione - e le sue evidenze (noumeno) - a dettare all’uomo le regole del proprio comportamento, secondo la categoria del “dover essere.” Sono cinque le caratteristiche imprescindibili della “legge morale” individuate da Kant.: razionalità, universalità, formalità, imperatività, intenzionalità. Tutte insieme, esse concorrono a creare quel regno dei fini, cui gli uomini devono tendere, per dar vita a una comunità di “essere razionali” e – in quanto tali- liberi. Il venir meno di una soltanto di esse inficia la moralità di qualsivoglia comportamento. Nietzsche smonta uno ad uno i tasselli della morale kantiana, squassandone le fondamenta.

A tale scopo, egli reputa necessario far luce sulla genesi della morale e, in generale, mettere in discussione i più radicati convincimenti su di essa,[369]smitizzandone quei caratteri ritenuti “innati” nell’uomo, che consentono a Kant di affermare: ”Un uomo può dichiararsi innocente, ma sente che l’avvocato che parla in sua difesa, non può far tacere l’accusatore che è in lui.”[370]

E’ il continuo richiamo alla coscienza che Nietzsche intende “mettere in imbarazzo” e svuotare d’ogni preteso significato. Quell’appello alla coscienza[371]“irriducibile”, sempre in grado di richiamare l’individuo ad essere altro da ciò che è, attraverso l’oltrepassamento della propria realtà fenomenica. Al contrario, Nietzsche pretende che l’uomo impari ad accettare “ciò che è”, liberandosi dall’ideale, che secoli di menzogne hanno imposto come “verità”.

Così, egli sottolinea come l’uomo - partendo da Socrate, proseguendo con Cristo, culminando in Kant - si sia rapportato al mondo in modo sbagliato, tentando di fissare tutto ciò che è “dinamico”.

“La verità è un semplice gioco di dadi - sostiene Nietzsche in Verità e menzogna in senso extramorale - che si esprime nelle diverse interpretazioni del mondo”.[372]

A tale modo di vedere, la verità non è altro che uno “scorcio prospettico”, il cui valore muta nel tempo per ragioni d’ordine prettamente storico.[373]

Ora, l’uomo cerca riparo alla propria fragilità attraverso la scienza, che considera “essenza della verità”.

Tuttavia, non è questa la scienza cui l’uomo può appellarsi per sanare la condizione in cui si trova. La scienza ideale non può essere improntata esclusivamente all’aridità logica,[374] ma deve ispirarsi alla capacità di cogliere,intuire, per mezzo di un qualsiasi evento dell’esperienza individuale, il significato profondo della vita.[375]

“Fra le cose che possono portare un pensatore alla disperazione - dice Nietzsche - è il riconoscere che l’uomo ha bisogno (come può anche essere vittima) dell’illogicità e che dall’illogicità nascono molte cose buone. Essa è piantata così saldamente nelle passioni, nella lingua, nell’ arte, nella religione e in genere in tutto ciò che conferisce valore alla vita, che non la si può estirpare senza danneggiare irreparabilmente queste belle cose(…).Anche l’uomo più ragionevole ha bisogno, di tempo in tempo, di ritornare alla natura, ciò alla sua fondamentale posizione illogica rispetto a tutte le cose”.[376]

Una delle cause più grandi della decadenza in cui versa la “cultura occidentale” -condannata ad un tramonto inesorabile -[377]è, per Nietzsche, l’insana ricerca di rimedi atti ad eliminare il dolore dalla vita. Per questo, un sentiero interpretativo che conduca al significato originario della vita e dell’intera realtà è considerare tutte le conoscenze storicamente costruite - e, nel tempo, cristallizzatesi al punto da ritenersi valide da sempre - non già come verità disvelate, bensì come errori commessi, il più delle volte figli di pregiudizi e/o bisogni, omettendo i casi di malafede.[378]Ciò che è vero - per ragioni d’ordine storico-sociale - è divenuto falso; viceversa, la menzogna è assurta al rango di verità dogmatica. Per ricollocare la civiltà occidentale sui giusti binari, perciò, occorre ri-capovolgere i concetti di vero e falso.[379]Sostiene ancora Nietzsche:

“Per il fatto che da millenni abbiamo scrutato il mondo con pretese morali, estetiche e religiose, con cieca inclinazione, passione o paura, e abbiamo straviziato negli eccessi del pensiero non logico, questo mondo è divenuto a poco a poco così meravigliosamente variopinto, terribile, profondo di significato, pieno d’anima e ha acquistato calore, ma i coloristi siamo stati noi: l’intelletto umano ha fatto comparire il fenomeno e ha trasferito nelle cose erronee le sue concezioni fondamentali”.[380]

In tal guisa, mentre per Kant buono è soltanto colui che si pone a totale servizio della “legge morale”, sottomettendosi autonomamente agli imperativi categorici dettati dalla propria ragione, per Nietzsche è colui che sovverte tale logica fallace, riabbracciando la vita in tutte le sue componenti, ossia: il buono “per sé” (Nietzsche) contro il buono “in sé”(Kant). L’immagine del cammello suggeritaci dal filosofo di Rocken è illuminante. Essa rende perfettamente l’idea di come la dipendenza assoluta dalla ragione - al pari di quella dalle passioni - possa tradursi per l’uomo in schiavitù. Occorre lottare - come il leone contro il drago - affinché l’uomo superi finalmente i propri limiti. Dalla necessità tutta umana di lottare, Nietzsche coglie lo spunto per demistificare un altro “cavallo di battaglia” kantiano, che poggia su fondamenta razionali: la pace. Nella realtà polemica dipinta da Nietzsche, anche la guerra è un bene, un sentiero di libertà e di elevazione dell’uomo .Non una guerra finalizzata alla “pace perpetua nel cimitero del genere umano”[381], ma una lotta - per se stessi - contro se stessi e le avversità, che la vita ci scaraventa dinanzi. Lotta per la verità e per l’accettazione del proprio destino, cui occorre obbedire sino in fondo.[382]

“Il vostro nemico dovete cercare, la vostra guerra dovete condurre per i vostri pensieri! E se il vostro pensiero soccombe, la vostra sincerità deve proclamare il trionfo!(…)Voi dite che la buona causa santifica ogni guerra? Io vi dico che è la buona guerra che santifica ogni causa. La guerra e il coraggio hanno fatto più grandi cose dell’amor del prossimo. Non la vostra compassione, ma il vostro valore ha salvato sinora i colpiti da sciagura”-[383]dice Zarathustra.

L’analisi della figura simbolica costituita da questo saggio persiano merita un breve approfondimento. Cosa significa infatti - nella bocca del “primo immoralista”- la parola Zarathustra? Interrogativo legittimo, visto che ciò che contraddistingue la figura storica di Zarathustra, è tutto fuorché l’immoralismo. Anzi, egli vide nella lotta tra “bene” e “male” la vera dinamica della vita ed è opera sua la traduzione della morale in termini metafisici. Avendo Zarathustra dato vita a quello che Nietzsche chiama “errore fatale” - la morale - egli deve anche essere il primo a riconoscere tale errore.

“La sua dottrina - dice Nietzsche - pone la veracità a suprema virtù, cioè l’opposto della viltà idealista, che di fronte alla realtà fugge;(…) la morale che supera se stessa per veracità, questo significa il nome di Zarathustra sulla mia bocca.”[384]

Tornando alle “verità-menzogne” contro cui muover guerra,[385] Nietzsche è convinto che -  se si va solo un istante oltre l’apparenza - la morale si fondi su elementi completamente diversi da quelli ostentati, legati al bene, all’altruismo, alla giustizia e al disinteresse. Ammonisce Kant:

Epericoloso anche solo far cooperare accanto alla legge morale alcuni altri moventi (come quello del vantaggio)”.[386]

Che cosa ne pensa Nietzsche? Egli afferma, senza mezzi termini, che in realtà sono l’utile,[387] l’egoismo (amor proprio)[388] e la forza a muovere le azioni degli uomini, come evidenziato, già nel ‘600, da La Rochefoucauld (“La Rochefoucauld sbaglia soltanto in questo: egli stima i motivi veri (delle azioni) più bassi degli altri, presunti; cioè in fondo crede ancora agli altri motivi e ne ricava il proprio metro”),[389] di cui Nietzsche è fervente ammiratore. Nell’esaltazione più grande per la missione di cui si sente investito, egli si abbandona a considerazioni dai più ritenute folli, ma che vanno lette attentamente fra le righe:

“La filosofia, così come l’ ho intesa io e vissuta sino ad oggi è vita volontaria tra i ghiacci e le alture - ricerca di tutto ciò che l’esistenza ha di estraneo e problematico, di tutto ciò che sinora era proscritto dalla morale. Attraverso una lunga esperienza di itinerari nel proibito, ho imparato a considerare le cause per cui fino ad oggi si è moralizzato e idealizzato”[390]. E ancora, con forti venature polemiche e a tratti d’autoesaltazione:

“La mia verità è tremenda: perché fino ad oggi si chiamava verità la menzogna. –Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula con cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto ch in me è divenuto carne e genio. Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo decente, che sappia oppormi a una falsità che dura millenni…”[391]

Nietzsche non ha tutti i torti. Se, infatti, si prendono alla lettera le sue parole lo scandalo può sopraffarci facendoci finire fuori strada. Se invece ci si libera una volta per tutte dai pregiudizi, si scopre che l’inversione di rotta innescata dal suo pensiero è davvero grande. Nietzsche, pensa che l’uomo debba trasfigurare da “morale” a “saggio”, aprendosi senza pregiudizi alla conoscenza, demolendo le erronee premesse che ne hanno sinora orientato la condotta, definita, in base ad esse, buona o cattiva. Il macigno che grava sugli uomini consiste nell’aver rinunciato a se stessi e, attraverso l’idea di trascendenza, aver “creato” un Dio,[392] al fine di rendere più sopportabili concetti e sentimenti che, in realtà, lo estraniano da sé, favorendo il dominio dei deboli sui forti, attraverso il tarlo della colpa e della cattiva coscienza. Quest’ultima è, per Nietzsche, sordida arma di un dolore sterile e insensato, “la più grave e oscura malattia, istinto di libertà represso, soffocato, incarcerato nell’intimo, che finisce per non potersi scaricare e sfrenare altro che con se stesso”.[393]

Di qui la necessità di risalire - attraverso un excursus storico-social-culturale -[394] all’origine extramorale di valori e categorie, partendo da una questione fondamentale:

“Se la morale, nonché essere il principale sostegno dell’uomo, fosse il massimo ostacolo al suo realizzarsi? Se, in tal senso essa fosse il pericolo dei pericoli?”[395]

Inutile dire che la risposta di Nietzsche a tale domanda finisce per essere affermativa. Non può infatti essere buono chi nega il proprio essere. In tal senso, la morale tradisce l’uomo, non lo libera affatto, in quanto lo indirizza verso obiettivi vuoti ed inappaganti, reprimendo pulsioni ineludibili e giuste.[396]Ovvia conseguenza che, per Nietzsche, unico “bene” è costituito dall’incondizionata accettazione della vita e dalla volontà di potenza, in contrasto con l’obbedienza della volontà - la “buona volontà”- alle leggi universali della ragione. Nietzsche sostiene che quando l’uomo era fedele alla propria natura, la bontà delle azioni veniva giudicata in base agli effetti che queste producevano. Con il capovolgimento di prospettive - dalla realtà all’ideale -[397]sono stati capovolti anche i giudizi di valore. Si è preso a misurare tutto in base all’intenzione-volontà[398], assurta a vera e propria “causa boni et mali”, attraverso il pregiudizio secondo cui “morale”, “disinteresse” e “non egoistico” siano concetti equivalenti. In realtà, l’uomo - come il mondo - non è né buono, né cattivo.[399]In tal senso, solo l’oltreuomo è degno “creatore di bene e male: in verità costui deve essere in primo luogo un distruttore e deve infrangere valori. Quindi, il massimo male inerisce alla bontà suprema: questa però è la bontà creatrice[400](cfr.“trasvalutazione di tutti valori”).[401]

2. Kant, Nietzsche e Dio

    Kant e Dio

 

“La ragion pura, che non tollera alcun limite, è la stessa divinità(…).E’ la ragione che insegna all’uomo a conoscere la sua destinazione, l’incondizionato fine della sua vita”[402]-afferma Hegel ma, se lo facesse Kant, nessuno se ne accorgerebbe. È attraverso la teologia razionale, che Kant si occupa di Dio, ovvero quella verità incondizionata cui l’uomo non può non tendere, in quanto “idea della ragione”. A chi, superficialmente, iscrive Kant tra i “bigotti”, ovvero coloro che saldano morale e religione, conferendo legittimità alla prima in base alla conformità con la seconda, basti ricordare che, in sede di teologia razionale, il suo obiettivo è confutare l’assunto che le dimostrazioni dell’esistenza di Dio abbiano una validità scientifica.[403]Quella di S. Anselmo è una prova “a priori”, che parte dal concetto di essere realissimo e perfettissimo, per poi dedurne l’esistenza.[404]Kant critica tale dimostrazione, sottolineando che l’ “esistenza” non è una nota concettuale, cioè una caratteristica che si dà analiticamente col puro pensiero, ma un predicato che si attribuisce all’intuizione. Le prove cosmologica e
fisico-teologica sono “a posteriori”. La prima si basa sul concetto di causa
(Dio =causa delle cause), che Kant critica per il fatto che questo ha senso soltanto nel “mondo fenomenico”, per ordinare logicamente fatti ed eventi. La seconda -meno convincente - sostiene che dalla bellezza, dalla perfezione e dall’ordine del mondo, si possa dedurre l’esistenza di un essere superiore.[405]Tuttavia, fa presente Kant, anche l’uomo progetta e costruisce, ma si limita - come il Demiurgo platonico- a plasmare qualcosa di già esistente. Tale analogia esprime tutta l’inconsistenza della prova fisico-teologica. In definitiva, Kant è convinto che non si possa non pensare a Dio, ma allo stesso tempo non si possa inferirne l’esistenza o la non esistenza. Che utilità hanno, dunque, queste idee della ragione? Distinguiamo, rispettivamente, due usi: uno costitutivo, uno regolativo. Il primo consente di usare le idee a fini cognitivi, applicandole agli oggetti; il secondo, invece, comporta l’utilizzo delle idee per regolare il nostro rapporto con la realtà e guidare il nostro comportamento.In tal modo, l’uomo sa benissimo che queste idee sono puramente pensate, ma si comporta come se esistessero realmente. In ambito morale, Kant è convinto che non ci si possa abbandonare al fenomeno: quel che conta è il noumeno. Ciò che non vale dal punto di vista scientifico, infatti, può valere dal punto di vista pratico, inserendo in quest’ambito le idee di Anima, Mondo e Dio.[406]La legge, dunque, equivale alla “legge di Dio”. Reclamando l’essere altro da ciò che l’uomo è in natura, tale legge coincide con l’essere più puro dell’uomo. In Kant, è presente un legame tra il voler essere autenticamente per la libertà e la stessa “legge morale”; quando Kant cerca di riporre il rispetto alla “legge morale”, vuole di fatto intendere al modo di essere responsabile dell’essere di fronte a se stesso, l’autentico essere se stesso.[407]E’ il “Dio morale” kantiano che, soppiantando il “Dio persona”, fa decretare a Nietzsche la morte di Dio, poichè ha ragione Heidegger nel dire che “quando Nietzsche dice Dio è morto intende il Dio considerato dal punto di vista morale soltanto”. Tuttavia, lo stesso Heidegger sostiene che la volontà del superuomo non è meno dispotica dell’imperativo categorico.

In Kant, si possono individuare due tipologie di male. Una, di matrice cristiana, connessa al senso del mistero e non comprensibile razionalmente (di cui la filosofia non deve interessarsi); un’altra, di pertinenza filosofico-morale, riconducibile al solipsismo, che si determina nella chiusura della propria egoità. Quando Kant insiste - a più riprese - sull’amore di sé, intende far presente che simili disposizioni hanno, come moventi, un qualcosa che non dipende dal “fondamento originario”, che è impenetrabile. Occorre superare il concetto di Dio-sostanza, la cui individuazione oggettivistica invaliderebbe il presupposto della ricerca (Kant parla di “idea-Dio”, non “idea di Dio”). Dio inteso come oggetto, infatti, contrasta con la possibilità di un’autentica ricerca teologica, che si fonda proprio nel non preporre Dio come ente sostanziale. Non è infatti l’idea trascendentale di Dio a creare una nuova teologia e una nuova metafisica, ma la trascendentalità stessa è già di per sé fondatrice di una nuova teologia. Anche il Cristo-persona è rappresentato da un’ idea (idea Christi), non come sinonimo dell’incarnazione teologica in uomo “oggetto di adorazione”, ma dell’umanità “idealmente intesa”, ossia al massimo della perfezione morale. In definitiva, perciò, Kant non intende né Dio né Cristo come persone oggettive, in quanto il primo è concepito secondo una “rappresentazione morale” e il secondo “nell’ideale della santa umanità“. Kant vede nel cristianesimo l’esempio massimo di “religione naturale”,[408] concetto puro pratico della ragione, che possiede il grande requisito della vera chiesa: l’universalità, ossia la validità per ciascun uomo o “attitudine ad avere un consenso unanime.”[409] Gl’insegnamenti di Cristo contengono i crismi della morale pura kantiana.[410] Egli (Cristo) riassume tutti i doveri in una “regola generale”: fa il tuo dovere senza altro movente che l’immediato apprezzamento del dovere stesso. Vale a dire: ama Dio -legislatore di tutti i doveri- sopra ogni cosa; e in una “regola speciale”, che riguarda le relazioni esteriori tra gli uomini considerate come dovere in generale: ama ognuno come te stesso. Questi sono due comandamenti cui dobbiamo tendere, non senza sforzo.[411] Sostiene Kant:

Possiamo noi ammettere un Creatore del mondo unico, sapiente, onnipotente? Senza dubbio: e non solo possiamo, ma ne dobbiamo supporre uno così.”[412]

L’uomo è imago Dei: dall’idea di Dio si forma - per riduzione - l’idea di uomo. E così, la domanda stessa “che cosa mi è lecito sperare?” è riconducibile a “che cos’è l’uomo?” e all’esistenza di Dio come postulato.[413]

In ultima analisi, secondo Kant, Dio deve servire da “modello alla perfetta determinazione della copia; noi non abbiamo altro criterio per giudicare le nostre azioni che la condotta di questo uomo divino in noi, con il quale possiamo paragonarci, giudicarci, e così migliorarci, quantunque non ci sia mai possibile raggiungerlo. Questi ideali, sebbene non si possa loro attribuire realtà oggettiva (esistenza), non sono perciò da considerare chimere, anzi offrono un criterio alla ragione, che ha bisogno di quel che nel suo genere è perfetto, per apprezzare alla sua stregua e misurare il grado dell’imperfetto.”[414]

 

     Nietzsche e Dio

 

“Che cosa fa il santo nel bosco” - chiese Zarathustra. Il santo rispose: “Faccio canti e li canto e quando faccio canti, rido, piango e borbotto: così lodo Dio.(…)Quando Zarathustra fu solo, così parlò al proprio cuore: “Allora è possibile! Questo vecchio santo nella sua foresta non ha ancora sentito che Dio è morto”.[415]

Quest’incipit, segna il netto cambio di prospettive tra Kant e Nietzsche in relazione a Dio. Il primo decreta l’indimostrabilità della sua esistenza - come indimostrabilità di tutte le “cose in sé”- e, contemporaneamente, ne valorizza il ruolo in ambito puro pratico, dichiarandolo imprescindibile dalla morale; il secondo non mostra alcun interesse per la sua esistenza, ma - cogliendone il ruolo determinante in chiave “moral-culturale”- ne annuncia la morte, come condizione prima per la palingenesi dell’uomo. Nell’aforisma 125 della Gaia scienza, l’“uomo folle” annuncia per la prima volta la morte di Dio:

Dove se n’è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo. Dio è morto!”. Nietzsche farà poi dire a Zarathustra:

“Così mi disse una volta il diavolo: anche Dio ha il suo inferno, è il suo amore per gli uomini. E, poco tempo fa gli sentii dire questa parola: Dio è morto. È morto della sua compassione degli uomini”.[416]

È dunque questa la “verità tremenda”[417], che l’uomo deve saper accettare. Ma cosa intende realmente annunciare Nietzsche? Sono state riempite pagine e pagine in merito alla vexata quaestio della morte di Dio che, come specificato sopra, lambisce soltanto l’“ambito religioso”, attenendo precipuamente l’“ambito morale”. Essa non ha un significato psicologico in quanto, con ciò, non s’intende che gli uomini non credano più in Dio.[418]Come pure non ha nulla a che fare con una tesi metafisica che punti a dimostrarne la non esistenza. Possiamo, perciò, spiegare che essa ha il tenore di una considerazione del tipo: non c’è più alcun Dio che possa salvarci. Oltre gli uomini sta soltanto il nulla e bisogna prenderne atto.

È la dissoluzione d’ogni fondamento ultimo, la consapevolezza che, nella storia della filosofia e della dottrina occidentale in genere, <<Dio è morto>> e il mondo vero è diventato una favola.”[419] In tal senso, è opportuno dire che la morte di Dio costituisce il definitivo passaggio alla post modernità, in quanto Dio è stato fondamentale per il sorgere delle società, ma adesso l’uomo non ha più bisogno di Lui come “fondamento primo del mondo”.[420]

Ma perché - a parte la compassione degli uomini - Dio sarebbe morto? Il motivo che Nietzsche sottende a questo annuncio è legato al fatto che il mondo soffre di una crisi mortale senza ritorno. La proclamazione della morte di Dio prelude all’avvento del nichilismo, ossia il fatto che valori e ideali su cui, grazie al cristianesimo, - e al platonismo, sua aristocratica premessa - la civiltà occidentale ha fondato i propri costumi e le proprie certezze, svelano il nulla che da sempre li caratterizza. Alzato il “velo di maya” insomma - per utilizzare un’espressione cara a Schopenhauer - c’è soltanto il nulla, attraverso cui per secoli si è mistificato il senso originale della vita, negandone gli aspetti peculiari in luogo di false prospettive di salvezza ed altri mondi. Dinanzi all’umanità che non crede più ai suoi fini e ai suoi valori -“nichilismo: manca il fine, manca la risposta al perché?; che cosa significa nichilismo? Che i valori supremi si svalutano” [421]- così come essi si sono affermati nell’occidente cristiano, anche il Valore supremo si svalorizza e Dio viene alla luce come la nostra più lunga menzogna. Il nichilismo è strumento chiave nell’analisi del rapporto Nietzsche-Dio.[422]Esso si salda con un altro topos del pensiero nietzscheano: la decadenza.[423]Ve ne è una evidente traccia già nel saggio Nietzsche contra Wagner, in cui il filosofo di Rocken dichiara che si tratta di “un saggio per psicologi, non per tedeschi”, alludendo alla prospettiva psicologica, contrapposta a quella morale.[424]Decadence - spiega Nietzsche - è una parola che non sprezza ma definisce”. Tuttavia, egli non la avverte con distaccata neutralità ma vi si oppone fortemente, pur riconoscendola come fenomeno intrinseco alla vita stessa. Riprendendone la definizione di Bourget, Nietzsche la rielabora in modo da ricavarne un giudizio critico:

“Da cosa è caratterizzata ogni decadence letteraria? Dal fatto che la vita non vi risiede più del tutto (…). Il tutto non vive generalmente più: è giustapposto, calcolato, posticcio, un prodotto artificiale”.[425]

Quindi, se il nichilismo rivela il vuoto che si celava dietro i valori tradizionali, la decadenza sancisce più propriamente lo stato di miseria cultural-spirituale in cui versa l’umanità. La morte di Dio, dunque, testimonia la tragicità del tempo: con questa, l’uomo sprofonda nel vuoto determinato dalla scomparsa dei punti di riferimento, orfano delle sue certezze e delle sue verità. Ora, se Dio è morto, non ha più alcun senso parlare di morale, di bene o di male, giustizia o ingiustizia.[426] In tal senso, il nichilismo è “horror vacui”:

“Non è il nostro un eterno precipitare?- si chiede l’uomo folle - Non stiamo forse vagando attraverso un infinito di nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto?”[427]

Nichilismo e decadenza procurano all’uomo un senso di smarrimento, che comporta - come segno inevitabile di malessere - un sempre più acuto distacco dalla vita. La percepita insensatezza del mondo genera un sentimento di perdita e di dolore, odio e risentimento nei confronti della realtà. Sic stantibus rebus, Nietzsche sottolinea come la metafisica e la morale abbiano via via perduto la loro necessità vitale. Osserva Nietzsche:

“L’uomo preferisce ancora volere il nulla, piuttosto che non volere.”[428]

Qual è, dunque, il compito dell’uomo, ora? Non ve ne sono alla sua portata: spetta al superuomo “attivarsi” (nichilismo attivo)[429], non contentandosi più di assistere alla rovina degli antichi ideali (nichilismo passivo), ma farsene promotore, dando inizio ad una “nuova era”.[430] Alla pretesa cristiana - “quest’odio contro l’umano, più ancora contro ciò che è animale, più ancora contro ciò che è materia, quest’orrore per i sensi, per la ragione stessa, il terrore per la felicità e la bellezza”-[431] di divenire “altro” e “nuovo” grazie alla conversione, Nietzsche oppone un altro imperativo: divenire ciò che si è. Quando diviene maestro dell’eterno ritorno, anche Nietzsche rinasce in virtù di una conversione, ma non per una nuova e diversa vita in Cristo, bensì per la vita sempre identica del mondo, che in un circolo in divenire eterno torna a se stessa.[432]La morte di Dio, “tabula rasa“ di verità e certezze che fungano da guida morale per l’uomo, rappresenta una grande “chance”, schiude nuovi orizzonti. A tal proposito, Vattimo intravede nell’“emancipazione il senso vero del nichilismo, proprio se si legge alla luce di un’ altra espressione capitale del filosofo tedesco: <<Dio è morto, ora vogliamo che vivano molti dei >>.[433]

E' la dissoluzione dei fondamenti, infatti, ciò che realmente libera, non sapere come stanno effettivamente le cose. È “verità” soltanto ciò che libera, innanzitutto, la presa di coscienza che non ci siano fondamenti ultimi davanti ai quali la nostra libertà debba arrestarsi.[434]La scomparsa di essi dalle coscienze, l’inutilità di riferimenti trascendenti, che dettino agli uomini “cos’è bene” e “cos’è male” restituisce loro il “senso della terra” e di “questa vita”. Il superuomo - eroe “affermatore della vita” par excellance - è in grado di sopportare su di sé il peso più grave delle contraddizioni, senza chiudere gli occhi dinanzi alle verità più orribili. Nietzsche dichiara: “Io non sono un uomo, sono dinamite. Con tutto ciò non c’è nulla in me del fondatore di religioni - le religioni sono affari per la plebe. Io sono il primo immoralista: perché io sono il primo distruttore par excellance.”[435]

Aldilà dei toni immancabilmente grandiosi del nostro, è possibile rintracciare in quest’annuncio l’auspicato ritorno al “senso della terra” perduto. Il superuomo insegnato da Zarathustra è senza morale. Ciò non significa che brancolerà nel buio sine die: una volta superati i valori tradizionali, sarà suo compito crearne di nuovi,[436] che salvino il mondo dal nichilismo. In questo senso, egli è pre-socratico e pre-cristiano[437]. Nietzsche-Zarathustra è colui che pecca di hybris, quella hybris propria di chi si colloca “al di là del bene e del male” tradizionalmente intesi. In lui –come nella vita- vivono forti contraddizioni: amore e disprezzo, istinto creatore e distruttore. Proprio in queste contraddizioni nasce il “senso della terra”, che la morale “platonica” ed “ebraico-cristiana” - di cui il “kantismo” è sintesi - hanno calpestato.

“Ecco - dichiara Zarathustra - io v’insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di <<sovraterrene speranze>>! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire!”[438]

 

3. Conclusioni

 

Abbiamo esaminato a vari livelli cosa rappresenta la morale per Kant e cosa rappresenta per Nietzsche. Ciò che evidenzia maggiormente l’incompatibilità tra le due filosofie è il “dato metafisico”. Secondo Kant, la morale non può prescindere dal concetto di trascendentale, che assicura il pieno rispetto dei canoni di universalità e necessarietà, che un fondamento “empirico” non garantirebbe, essendo riconducibile ad individui e situazioni particolari. Il salto in avanti rispetto alla tradizione è netto, segnatamente all’“approccio critico” nei confronti della metafisica e al suo ruolo in ambito morale. Il merito di Kant sta nell’aver – una volta per tutte- sgombrato il campo dai ripetuti, vani tentativi volti a dimostrare l’esistenza di Dio,[439]trasferendo la metafisica “dal cielo alla terra”. Non è possibile, infatti, una metafisica come scienza, poiché essa è inaccessibile dal punto di vista empirico, risultando indimostrabile entro i limiti della sola ragione. Kant, perciò, sostiene che essa debba essere la “scienza dei limiti della ragione”.[440]

Anche Nietzsche, come Kant, si colloca al di là del razionalismo e del dogmatismo imperanti, e si distingue per un approccio problematico alla questione, interessandosi piuttosto di analizzare i significati che determinati valori e concetti hanno assunto per l’uomo nel tempo. Contrariamente a Kant, che si sforza di dimostrare le conclusioni cui di volta in volta giunge, egli si limita ad annunciare “senza fornire giustificazioni a posteriori delle proprie affermazioni, in quanto ogni giustificazione è contenuta nella forma del suo linguaggio.”[441]

La morte di Dio, per Nietzsche, attiene ad un ambito prettamente morale. Essa decreta la svalutazione dei supremi valori, preludendo, tramite essa, alla possibilità di un “uomo nuovo”.[442] Entrambi, dunque, pongono l’uomo al centro di tutto. Tuttavia, Kant e Nietzsche non prendono a riferimento lo stesso uomo. Per il primo è l’Uomo; per il secondo l’uomo. Nell’iniziale maiuscola risiede una differenza capitale, in quanto l’Uomo è legato ad una dimensione “universale e metafisica”, mentre l’uomo ad una dimensione “individuale ed empirica”. Nietzsche rigetta l’atavica domanda - tì estì? -[443] che da Socrate e Platone ha impegnato tutta la filosofia occidentale, poiché la risposta è impossibile: il finito, il molteplice e il divenire posseggono - rispetto all’universale - la forza invincibile dell’evidenza.

“Conosco il cavallo, non la cavallinità” - recita il celebre motto di Antistene. Conoscibile, difatti, può essere solamente il “fenomeno” non certo la “cosa in sé”. Tuttavia, oggetto della morale kantiana è il “dovere in sé”.[444] Per far funzionare il proprio complesso edificio morale, il filosofo di Konigsberg deve ricorrere ai tre famosi postulati. Vale a dire: il filosofo non può credere all’esistenza di Dio, l’Uomo sì. Irrompe così la questione del sensibile e del corporeo, contrapposto all’illusorietà della ragione. Nella fattispecie, la morale kantiana parte da un presupposto chiaro. L’Uomo di Kant dice: “Io ho un corpo”. Tale affermazione definisce automaticamente un “centro” e una “periferia”:

“Quando la luce dell’anima, la ragione, è oscurata, da dove mai potrebbe una inclinazione ricevere la vera direzione?come non si possono servire due padroni con eguale zelo, così il culto di Dio e della ragione è inconciliabile con il servigio dei sensi.”[445]

Così, l’”illimitato”, “incorporeo”, “trascendentale”, il “quanto di divino è in noi” - o res cogitans - costituiscono il centro nobile dell’uomo, presupposto di libertà, nonché via maestra verso il “sommo bene”. Il “finito”, il “corporeo”, il “quanto di animale vi è in noi”[446] costituiscono, invece, la via della schiavitù e dell’immoralità. L’individuo nietzscheano, invece, capovolge tale impostazione. Egli sostiene: “Io sono un corpo”. In tal guisa, perciò, la “cosa in sé”, la “realtà soprasensibile”, “la verità scientifica” - in una sola parola, la metafisica - sprofonda nell’abisso del nulla. In Nietzsche, assurge a massima importanza il dato sensibile empiricamente rilevabile - per secoli negato, dispregiato, e con sé negata e dispregiata la vita stessa. La corporeità è, per Kant, una schiavitù,[447] ostacolo alla giustizia e alla moralità. Secondo Nietzsche, le categorie di “giustizia” e “ingiustizia” hanno perduto il loro significato originale - fenomenico- basato su un piano di accettazione della vita e si sono allontanate dall’uomo, essendo state ricollocate ad un livello trascendente. In questo modo, il dominio del dato “ultra-sensibile”e – finanche - “pre-sensibile” ha mortificato l’uomo, proiettandolo altrove.

“Ci sono i predicatori della morte: la terra è piena di uomini, cui non si può non predicare il distacco dalla vita. Vorrebbero esser morti e noi dovremmo approvare questa loro volontà! Guardiamoci dal destare questi morti e dal ferire queste bare viventi! Incontrano un malato, un vecchio o un cadavere e subito dicono: <<la vita è confutata>> (...) <<voluttà è peccato>>-dicono (…). La terra è piena di quelli cui non si può non predicare la morte. O la <<vita eterna>>: per me è lo stesso, -purchè essi ci vadano al più presto!”[448]

Tra i predicatori di morte, ovviamente, Nietzsche inserisce non solo i preti o gli asceti, ma anche i filosofi, che fondano le proprie morali su basi trascendenti - dal platonismo al kantismo - che determinano i valori cosiddetti “veri” della vita, attraverso la negazione della vita stessa.

Nella la filosofia morale kantiana, appunto, tutto ciò che è “inclinazione” è identificato come limitato,[449] malvagio e corrotto, ostacolo invalicabile nella strada che conduce al sommo bene. Constando quest’ultimo della compresenza di felicità e virtù e, non essendo quasi mai il virtuoso anche felice, il fatto che vadano postulati l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, insospettisce ancor più Nietzsche, che scorge in questa “astuzia” - architettata da tutti i malriusciti da Socrate in poi[450] - il perfido tentativo di rendere meno dolorosa per l’uomo la rinuncia a se stesso.[451]L’uomo in quanto tale, infatti, non può prescindere da nessuna delle sue due componenti - il corpo come la mente - le quali costituiscono la sua natura. L’istanza socratico-platonica, che dipinge il corpo come una gabbia e descrive “questo mondo” come una copia sbiadita della “realtà iperurania”,[452] conduce l’uomo al proprio snaturamento.

Kant - con tutti i distinguo del caso sopra citati - è erede diretto del platonismo ed incentra la propria filosofia morale sul noumeno, sulla forma, non sul contenuto, sull’idea, non sulla realtà e, per legittimare il tutto, confida, oltrechè nella “libertà”, nell’”esistenza di Dio” e nell’”immortalità dell’anima”.[453]

Nietzsche sottolinea il paradosso per cui - in Kant - la libertà venga a costituire il presupposto dell’obbedienza[454]e, in merito alle istanze di “negazione della corporeità”, afferma: “Io sono corpo e anima - così parla il bambino. Ma l’uomo desto, cosciente dice: <<Io sono tutto corpo e nulla fuori di questo; anima è solo una parola per qualcosa che è nel corpo>>.Il corpo è una grande ragione, (…) strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami spirito, un piccolo strumento e zimbello della tua grande ragione.(…) La cosa più grande - cui non vuoi credere- è il tuo corpo e la sua grande ragione: questa non dice io, ma fa da io”.[455]

In Nietzsche, la metafora del bambino, può significare “palingenesi” o “stato di minorità” dell’uomo. L’estratto sopra citato rientra nel secondo caso. L’uomo ha sinora erroneamente creduto che il corpo - inteso come componente caleidoscopica, teatro di felicità e dolore, amore e odio - potesse divenire strumento della ragione. Frustrato in tale stolta ma testarda volontà, il “valore-corpo” è stato a lungo screditato, vilipeso, umiliato, subordinato al “valore-ragione”. Mortificando il corpo - associato, in ogni sua manifestazione di vitalità, al peccato - si è mortificata la vita, mentre la ragione è stata a lungo considerata il “cordone ombelicale” che apparenta l’uomo alla divinità.[456]In ambito morale, perciò, lo scontro Nietzsche-Kant è scontro di prospettive, che tracciano diversi punti di partenza. Infatti, se impostiamo una filosofia sul dominio incontrastato della “razionalità”, parliamo di morale. Se invece impostiamo una filosofia sul dominio incoercibile della “corporeità”, non possiamo che parlare di etica. La morale presuppone la condivisione e l’applicabilità delle proprie leggi ad un “universitas hominum”, in quanto - per definitionem - essi condividono l’attributo della razionalità. L’etica, invece, presuppone un “modo d’essere” strettamente individuale, per cui le sue leggi non sono estendibili a tutti. In definitiva, la “morale kantiana” comunica all’uomo come dovrebbe essere - negando con ciò quello che è - mentre l’“etica nietzscheana” invita l’uomo a rammentare ciò che in realtà è, esortandolo a ridiventarlo. Probabilmente, siamo solo dinanzi a due modelli d’integralismo filosofico contrapposti, ma certo è che Kant non vive affatto “sulle nuvole” come sostiene Nietzsche, ma è ben consapevole della doppia natura dell’uomo - res cogitans e res extensa - e ammette che non si può accedere alla moralità senza problemi.

L’attitudine delle “massime” ad una “legislazione universale”, infatti, è ostacolata dal fatto che “noi troviamo la nostra natura - come esseri sensibili - così fatta che la materia della facoltà del desiderare (oggetti dell’inclinazione, sia della speranza o del timore) s’impone innanzitutto, e il nostro io patologicamente determinabile, benché sia del tutto inadatto mediante le sue massime a una legislazione universale, tuttavia, come se costituisse tutto il nostro io, s’è sforzato di far valere le sue pretese come prime e originali.”[457]

Si rifletta su quel “patologicamente determinabile”. L’associazione (corporeità) sensibilità-patologia è paradigmatica dell’impostazione morale kantiana, incentrata sul dominio ragione pura.

Quel che Nietzsche non può sopportare è il tentativo di mettere il bavaglio alla “sfera sensibile”. La sua, pertanto, è una violenta reazione all’immagine del corpo, perpretata dalla tradizione platonico-cristiana, di cui è erede Kant:

“Perfino nella vostra stoltezza e disprezzo voi, spregiatori del corpo, servite il vostro Se stesso. E io vi dico: il vostro Se stesso vuole morire e si distacca dalla vita.(…)Per questo vi adirate con la vita e con la terra. Un’inconscia invidia è nello sguardo bieco del vostro disprezzo. Io non vado per la vostra strada, spregiatori del corpo. Non mi siete ponte verso il superuomo!”[458]

Tale estratto esprime la condanna dell’uomo tradizionale malato - in ottica nietzscheana stavolta - che, proteso verso lidi metafisici, fonda la propria vita sul disprezzo della realtà sensibile, interpretata come fallace e ingiusta, rispettivamente dal punto di vista speculativo e dal punto di vista morale.

Come Kant trova nel filone “platonico-cristiano” terreno fertile su cui fondare il proprio spregio della corporeità “in ambito morale”, così, per esaltarla, Nietzsche lo trova - oltrechè nella filosofia presocratica - in Stirner, che afferma[459]:

“Io sono libero da ciò di cui mi sono liberato, sono proprietario di ciò che ho in mio potere, di ciò che possiedo. Io sono proprietario di me stesso in ogni momento e in ogni situazione, se io comprendo di possedere me stesso senza confondermi con gli altri.[460]

Stirner ha un approccio radicale alla corporeità. Su di essa egli fonda il proprio concetto di proprietà, antitetico a quello metafisico ed - illusorio - di libertà.

Egli afferma ancora: “La mia gamba non è libera dalle bastonate del padrone, ma è la mia gamba e non può essere strappata. Provi a strapparmela e vedrà se in mano ha ancora la mia gamba! In mano egli non ha altro che il cadavere della mia gamba, che è tanto poco la mia gamba quanto un cane morto è ancora un cane.[461]

Per Kant, la libertà della volontà è premessa irrinunciabile ai fini morali, mentre per Nietzsche non si pone libertà laddove vige la morale. A questo punto è esatto parlare di “anarchismo nietzscheano”? Non pochi hanno accostato il filosofo di Rocken a Max Stirner e al suo “anarchismo filosofico”. A tal proposito, Giorgio Penzo scrive:

“La maggior parte degli studiosi dei primi decenni del secolo, che si occupano dell’opera di Stirner e Nietzsche, sono di avviso che questi doveva conoscere il primo. Non è possibile d’altra parte che un pensatore libertario come Nietzsche non abbia mai letto il pensatore più libertario che la cultura tedesca abbia mai espresso”.[462]

Neanche a von Hartmann sfugge la relazione tra i due filosofi, e sottolinea la superiorità di Stirner rispetto a Nietzsche. Secondo la sua analisi, la tematica dell’egoismo, che Nietzsche conduce fino alle più estreme conseguenze, non è affatto nuova, visto che era già stata espressa da Stirner. Per così dire, il superuomo nietzscheano ricalcherebbe la “concezione egoistica” di Stirner. Questi, con il suo “nichilismo assoluto”,[463]è un feroce demolitore di idoli umani e divini, cosa di cui mena vanto anche Nietzsche, pur senza mai citare il suo nome. Tuttavia, il filosofo di Rocken - come abbiamo visto nella dinamica “nichilismo passivo/nichilismo attivo”- tende a superare lo stato di disperazione del primo, attraverso l’avvento di un nuovo tipo di uomo che si faccia creatore di nuovi valori, nuove verità spostandone il fondamento dal “mondo sovrasensibile” al “mondo sensibile”. Come per Nietzsche, anche per Stirner non esistono “verità oggettive”, “valori universali”, “esseri trascendenti”: l’io è l’unica vera dimensione, l’unico metro valido della realtà.[464] Dichiara Stirner:

“Io ho posto la mia causa su nulla.”[465]

Tuttavia, mentre il nichilismo stirneriano affonda le proprie radici nel pessimismo, nella disperazione e nella chiusura in se stessi, in Nietzsche il nichilismo è un fatto, oltrechè esistenziale, - e perciò individuale - storico. Quindi, se è vero che il pensiero nietzscheano dà grande rilievo all’individuo - e al conseguente relativismo - “in quanto sono sempre stati e continuano ad essere singoli uomini a rompere l’incanto dell’abitudine”,[466] è pur vero che la sua analisi tende a tracciare un quadro generale sulla condizione dell’”uomo occidentale”. In definitiva, se è plausibile l’accostamento di Nietzsche a Stirner, non lo è la definizione di Nietzsche come filosofo “anarchico”. Non si sbaglia a considerare le filosofie di Nietzsche e Kant quanto mai attuali. Ma in che senso degli autori possono dirsi attuali? Senz’altro, quando stimolano i nostri pensieri, le nostre interpretazioni e ci aiutano a dare un significato al mondo in cui viviamo.

Scrive Vattimo:

“Lo stesso fatto che l’immagine di Nietzsche si modifichi significativamente in momenti diversi anche nella prospettiva di un singolo studioso è una dimostrazione della vitalità della sua opera, se è vero, come mi pare, che la varietà delle interpretazioni non dipende solo dalla naturale soggettività degli interpreti, ma dalla ricchezza dell’oggetto a cui si applicano.”[467]

Tuttavia, mentre la filosofia kantiana ha sempre goduto del favore accademico e dell’opinione pubblica, la lezione nietzscheana ha atteso anni di ingiusto ostracismo prima di venire riabilitata ed ora è un pilastro riconosciuto della cultura occidentale. Quest’ultima annovera - incredibile dictu!- l’uno di fianco all’altro Kant e Nietzsche fra i “padri della libertà”: la modernità - o meglio la post-modernità - ha “sintetizzato” gli opposti. E così, se è vero che Kant è tra i padri del moderno “stato di diritto” e della “democrazia”, è altresì opportuno rilevare quanto il “libertarismo” e lo “spirito di rivolta” nietzscheani siano presenti ovunque.[468]

 

 

 

 

Schema della dialettica Nietzsche - Kant

 

Tesi (Kant)

 

Illuminismo: Uguaglianza >Universalismo >Diritto

Spirito apollineo: Ragion pura >Morale >Giustizia

Libertà: razionalità >sapere aude! >dovere

 

Antitesi (Nietzsche)

 

Anti-Illuminismo:Aristocratismo>Individualismo >Relativismo

Spirito dionisiaco: Istinti >Etica >Trasvalutazione dei valori

Libertarismo: Sensibilità >Volontà di potenza >Felicità

 

Sintesi

Modernità>Libertà:Morale/Etica;Socialismo/Individualismo; Religiosità/Laicismo

 

Bibliografia

 

Testi di Nietzsche:

1-Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996; Mursia 1987

2-Al di là del bene e del male, Demetra, 1996; Adelphi, 1968

3-Ecce homo, Adelphi, 1965, 1981

4-Aurora, Adelphi, 1964; 1978

5-La mia vita, Adelphi, 1999

6-Gaia scienza, Adelphi, 1977; Einaudi, 1979

7-Nietzsche contra Wagner, Adelphi, 1967

8-Schopenhauer come educatore, Adelphi, 2000

9-La Nascita della Tragedia, Newton, 1991

10-Verità e menzogna in senso extramorale, Newton 1991

11-Genealogia della morale, Newton, 1992

12-Crepuscolo degli idoli, Adelphi, 1997

13-Umano, troppo umano, Newton, 1990

14-Frammenti postumi(1881-1882), versione di Montinari, Adelphi, 1967

15-L’Anticristo, Mursia, 1990

 

Testi di Kant:

16-Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet, 1965

17-Critica della ragion pura, Utet, 1967

18-Critica della ragion pratica, Laterza, 2003

19-Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza 2003

20-De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis,Lanciano,1936

21-I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Bur, 2001

22-Sul male radicale nella natura umana, Mondatori, 1995

23-La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza 2004;Utet,1979

 

Altri testi:

24-Abbagnano, Storia della Filosofia, TEA, 1995, V

25-Abruzzese, Forme estetiche e società di massa, Marsilio, 2001

26-Ardiccioni, Filosofia, ed. D’Anna, 1996

27-Banfi, Introduzione a Nietzsche, Roma, 1994

28-Beck, I rischi della libertà, Il Mulino, 2000

29-Bergmann, Schopenhauer, vol. III.

30-Cacciari, Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, 1977

31-Cassirer, Vita e dottrina di Kant, La Nuova Italia, 1977

32-Catemario, Amore, norme, vita, Meltemi, 1996

33-Cicerone, De officiis, Solaria, 1990

34-Cioffi, Il testo filosofico II, Mondatori, 1992

35-Cioffi, Il testo filosofico, 3/1, ed. Mondatori, 1998

36-Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, 1980;

37-Colli e Montinari, Opere Adelphi 1973

38-Fini, Nietzsche, l’apolide dell’esistenza, Marsilio, 2002

39-Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io, Boringhieri, 1994

40-Giametta, Saggi nietzscheani, ed. Città del Sole,1990

41-Goldman, Introduzione a Kant, Laterza 2001

42-Hegel, Vita di Gesù, Laterza 2004

43-Heidegger, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”,La Nuova Italia, 1997

44-Heidegger, Che cosa significa pensare?Sugarco, 1954

45-Heidegger, Kant e il problema della metafisica,Mursia, 1991

46-Heine,Per la storia della religione e della filosofia in G.,Laterza, ‘72

47-Hoffe, Immanuel Kant, Il Mulino, 2002

48-Janz, Vita di Nietzsche,Carpitella, 1980;

49-Lowith, Nietzsche e l’eterno ritorno, Laterza, 1985

50-Lowith, Il nichilismo europeo, Laterza, 1999

51-Lukàcs, La distruzione della ragione, Einaudi, 1974

52-Mittner, Storia della letteratura tedesca, Einaudi, 1971

53-Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche, Ubaldini 1975

54-Paci, Nietzsche, Garzanti, 1942

55-Prini, Esistenzialismo, Editrice Studium, Roma, 1959

56-Rousseau, Origine della disuguaglianza,Feltrinelli, 2004

57-Rousseau, Il contratto sociale, Rizzoli, 1996

58-Schopenhauer, Memoria sul fondamento della morale, Torino, 1970

59-Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, in G.A.F.

60-Severino, La filosofia moderna, Bur, 1991;

61-Severino, La filosofia antica dai presocratici a Plotino,Bur, 1994

62-Stirner, L’unico e la sua proprietà, Mursia,1990

63-Vattimo, Nichilismo ed emancipazione, Garzanti, 2003

64-Vattimo, Introduzione a Nietzsche,Garzanti, 1978

65-Volpi, Il nichilismo, Laterza, 2004

66-Volpi, Kant e l’oriente della ragione, Adelphi, 2000;

 

Altre fonti:

67-Glossario sanscrito, Ed. Asram Vidya, trad. Milano, 1999

68-Interviste a Gadamer, Raisat Educational, 2000

69-Ocone, Nietzsche, un’etica della Babele, L’Avvenire, 9-1-2001

 

 

 


 


[1]Non essendo i due contemporanei, Kant non ha “possibilità di replica”.

[2]Beck infatti inserisce entrambi i filosofi tra i ccdd. “padri della libertà” (cfr. Beck, I rischi della libertà, Il Mulino, 2000, p.91 e ss).

[3]Cfr. Hoffe, Immanuel. Kant, ed. Il Mulino 2002; Cfr. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, La Nuova Italia, 1977.

[4]Cfr. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io, Boringhieri, 1994.

[5]Marx definirà il Comunismo filosofia della prassi, in polemica con l’Idealismo; cfr. il “Manifesto del Comunisti”.

[6]Cfr. Kant, Risposta alla domanda:che cos’è l’Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto di Kant, Utet, 1965, p. 40 e ss.; nella fattispecie, “guida di un altro” è riferibile allo stato e alla chiesa che per secoli hanno tiranneggiato sugl’uomini.

[7]Tuttavia alcuni collocano Nietzsche tra gli illuministi, sottolineando come il libertarismo ne sia un tratto tipico. Cfr. cap. 2 par. 7.

[8]Cfr.Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Demetra, 1996, p.213 e ss.

[9]In merito a ciò rimando al paragrafo 7 cap. 2.

[10]Tuttavia, nel rapporto con Kant, Nietzsche rivelò la sua ambiguità. Per sé fu, inconsciamente, un kantiano, un sincero osservante dell’imperativo categorico che tanto avversava. Si impose a lui, infatti, sempre il rispetto della verità, sino al paradosso di negarla quando non la vedeva.

[11]Basti pensare all’ostracismo in cui ha vissuto per lungo tempo il pensiero nietzscheano presso l’ambiente accademico.

[12]Cfr.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mursia, 1987, p.31- 32.

[13]Cfr.Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Demetra, 1996, pp. 148, 149.

[14]Cfr.Nietzsche, ult.op.cit, p. 22.

[15]Cfr. Nietzsche, ult. op. cit., p.112.

[16]Cfr. Montinari, Che cosa ha veramente detto N., Ubaldini 1975.

[17]Eraclito, Democrito ed Empedocle in primis (Cfr. Severino, La filosofia moderna, Bur, 1991; Cfr. Janz, Vita di Nietzsche, I, il profeta della tragedia, 1844- 1879, Carpitella, Bari, 1980; Cfr. Montinari, ult.op.cit.)

[18]Cfr. Cassirer, ult.op.cit.p. 301 e ss.

[19]Ci riferiamo al secondo Kant; quello dopo la svolta del ’70, che segna il passaggio dal galante Magister, presenza gradita ai salotti più in vista, allo studioso ritirato. Cfr. Hoffe, ult. op. cit., p. 28-29.

[20]Cfr. M.Fini, Nietzsche, l’apolide dell’esistenza, Marsilio, 2002, p. 300.

[21]Cfr.Hoffe, ult. op cit , p. 9.

[22]Ovviamente ci riferiamo al secondo Kant, quello dopo la svolta del 1770.

[23]Cfr.Hoffe, ult. op cit p. 9.

[24]Cfr.Hoffe, ult. op. cit., p. 18.

[25]Cfr.Heine, Per la storia della religione e della filosofia in Germania, Bari, Laterza, 1972, p.85

[26]Quanto al nichilismo, Nietzsche si limita a fotografare, con toni che rasentano l’esaltazione, quel processo in stato avanzato di svalutazione di tutti i valori tradizionali, simboleggiato dalla “morte di Dio”.

[27]Cfr. Nietzsche, Ecce homo, p. 118 e ss., Adelphi, 1981.

[28]Cfr. M.Fini, ult. op. cit,p. 22.

[29]Cfr. Nietzsche, ult.op.cit., p. 127 e ss.

[30]Nietzsche perse prematuramente il padre ed ebbe in sogno la premonizione della scomparsa del fratello (Cfr. Nietzsche, La mia vita, Adelphi, 1977, p. 13).

[31]Cfr. Nietzsche, Gaia scienza, af. 125, Adelphi, 1977.

[32]Per la quale è costretto più volte ad interrompere ed infine ad abbandonare definitivamente la carriera universitaria (1879).

[33]Cfr. Montinari,ult.op.cit.p.73.

 

[34]Cfr.Nietzsche, Nietzsche contra Wagner, ed. Adelphi, 1967, p.30 e ss.

[35]Fondamentali per la genesi del suo pensiero il polemos e il divenire eraclitei, il relativismo sofista, l’atomismo di Democrito.

[36]Cfr. Nietzsche, Schopenhauer come educatore,introduzione di G. Colli, Adelphi 2000.

[37]Per gli altri si affida al manuale di Kuno Fischer.

[38]Cfr.Hoffe, ult. op. cit., pp. 16, 17.

[39]Cfr.Kant, Critica della ragion pura, Utet 1967, p. 64.

[40]Contemporanei di Kant in polemica col dogmatismo, nonché oppositori di Wolff; Cassirer, ult.op.cit.,pp.90 e ss.

[41]Cfr.Kant, De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principiis,trad., introd. Guido de Giuli, Lanciano, p.22 e ss. (introduzione); Cassirer, ult.op.cit., p.92.

 

[42]Non si può parlare di un solo Kant, nè di un solo Nietzsche. Entrambi ebbero delle svolte in cui rivisitarono il loro pensiero.

[43]Evento che ispirò il Candido a Voltaire.

[44]Cfr.Hoffe, ult. op. cit., p. 15.

[45]Quando, con lo scritto De mundi sensibilis atque intellegibili forma et principiis, Kant ottenne la sospirata “cattedra di logica e metafisica” pareva che non ci fossero più elementi per condurre Kant ad un evoluzione del suo pensiero. (Cassirer, ult.op.cit. p. 139); la celebre dissertazione è un passo importante verso la costruzione del pensiero del “secondo Kant” in quanto anticipa i concetti di conoscenza fenomenica e noumenica, nonché le forme a priori della conoscenza sensibile (spazio e tempo).

[46]Cfr.Hoffe, ult. op. cit., p. 16.

[47]Cfr.Nietzsche, La nascita della tragedia,p.53 e ss. Newton, 1991.

[48]Cfr.Hoffe, ult. op.cit., pp. 23.

[49]Critica della ragion pura.

[50]E’ nella fase del sentimentalismo inglese (Hutchenson, Hume) che Kant individuerà il problema del sentire da affiancare alla ragione. Per i “sentimentalisti” non è possibile impostare una morale su basi esclusivamente razionali; Cfr. Kant, I sogni di un visionario, spiegati coi sogni della metafisica, Bur, 2001, p.6 e ss.; cfr. Hoffe, ult.op. cit. p.184.

[51]Cfr. M.Fini, ult. op. cit., p.131.

[52]Cfr.Nietzsche, Ecce homo, Adelphi, 1981 p.44 e ss.; Cfr. M.Fini, ult. op. cit, p. 128.

[53]Cfr.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996, introduzione, p.XIII.

[54]Cfr.Hoffe, ult. op.cit., p.25 e ss.

[55]La religione entro i limiti della sola ragione“,che lo costrinse a un duro braccio di ferro col governo prussiano (Cfr. Cassirer, ult.op.cit.,p.429 e ss.,).

[56]Cfr.Hoffe, ult.op.cit.,p. 27; cfr.Kant, La fine di tutte le cose, AA, vol.VIII,p.339.

[57]Cfr.Hoffe, ult.op.cit.,p.25 e ss.

[58]Vedi p. 9.

[59]Cfr.Montinari, ult.op.cit.89 e ss.

[60]Cfr.Montinari, ult.op.cit.

[61]Cfr.Hoffe, ult. op. cit., p. 17.

[62]Cfr.Lukàcs, La distruzione della ragione, trad. di Arnaud, Einaudi, 1974, vol. I.

[63]Cfr.Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Il testo filosofico II, Mondatori, 1992, p.1200 e ss.

[64]Cfr.Heine, Per la storia della religione e della filosofia.

[65]Trattasi di critica religiosa, storica e culturale, senza alcun riferimento biologico razziale.

[66]Cfr.Nietzsche, Di là dal bene e da male, Demetra, 1996, pp. 200 e ss.

[67]Cfr. N.Abbagnano, Storia della Filosofia, TEA, 1995, V.

[68]Cfr. P.Prini, Esistenzialismo, Editrice Studium, Roma, 1959,p.26.

[69]E’ d’uopo in questo caso specificare che non esiste un solo Kant nemmeno nella vita. La vita ritirata che fece dal 1770 si contrappone decisamente a quella di società che ebbe prima. Come pure lo stile delle composizioni, un tempo piacevole e talvolta ironico, ora arido e tecnico. Cfr. Hoffe, ult. op. cit., p. 29.

[70]Cfr. Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Il testo filosofico,II, Mondatori, 92, p.1222; in campo teoretico, Kant intende rispondere alla domanda “cosa posso sapere?”; in campo pratico, “cosa devo fare?”. Il primo quesito, poggia sulle possibilità della ragione, il secondo sul dovere.

[71]Cfr.Hoffe, ult op. cit., p.156; Cfr. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, La nuova Italia, 1977, p138 e ss.

[72]Cfr.Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, 2003, p.9.

[73]Kant chiama legalità la condotta che si limita al rispetto delle leggi, ma non è contraddistinta da buona volontà. Non può considerarsi morale quella condotta conforme sì alla legge, ma figlia di una volontà eteronoma.

[74]Cit.Kant, ult.op.cit.,p. 105.

[75]Hoffe,ult.op.cit.,p.184.

[76]Cfr.Kant, Risposta alla domanda:che cos’è l’Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto di I. Kant, Utet, 1965.

[77]Cfr. Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Il testo filosofico, II, Mondatori 1992, p. 1223.

[78]Cit.Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, 2003, p. 7.

[79]Cit.Kant, clt. op. cit., p. 7.

[80]La forma della legge morale è l’imperativo categorico. Questo designa un obbligo ineludibile, connesso al rispetto del “dovere in sé”.

[81]L’oggetto della morale è la giustizia; quello della pratica, l’utile.

[82]Nomina sunt consequentia rerum.

[83]Cfr.Catemario, Amore, norme, vita, Meltemi, 1996, p. 78 ss.

[84]Nonostante Kant tragga dall’empirista Hume le forze per “risvegliarsi dal torpore”, in questa fase speculativa, la fase anglofila è definitivamente superata.

[85]Cfr.Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, 2003 p.75; cfr. I. Kant, Sul male radicale nella natura umana, Mondatori, 1995.

[86] Valido per ogni essere razionale.

[87]Cfr.Kant, ult.op.cit.; causa quella componente dionisiaca insita in ciascun uomo e che da Socrate in poi è screditata di fronte a quella apollinea.

 

[88]A tal proposito “puoi anche volere che la tua massima non diventi una legge universale. Quando è così- in quanto essa non può esser ammessa come principio in una legislazione universale, la massima è da rifiutare”, cit.Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, 2003, p.37.

[89]Cit.Kant ult.op.cit., p.75.

 

[90]Si tratterebbe di un “imperativo ipotetico”, ossia quel fondamento dell’azione in vista di un determinato fine che non sia il “dovere in sé”. Cfr. Kant, ult.op.cit., p.73 ss.

[91]Cfr. Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Il testo filosofico II, Mondatori, 92, p. 1225.

[92] Cit.Cassirer, ult.op.cit., p.441.

[93]“Non è la conoscenza umana a regolarsi sulla natura degli oggetti, ma, all’opposto, sono gli oggetti a doversi regolare sulla natura della conoscenza umana”(cit. Severino, ult.op.cit., p.159).

[94]Cfr.Kant, ult.op.cit.,p.9.

 

[95]Cfr.Kant, ult. op. cit. p. 127.

[96]Cit.Kant, ult. op. cit. p.87.

[97]Cit.Kant, ult. op. cit. p.89.

[98]Cfr.Severino, La filosofia moderna, Bur, 1991, p.197.

[99]Cfr.Severino,ult. op. cit. p. 198; “immortalità dell’ anima”, secondo postulato della ragion pratica.

[100]Cfr.Severino, ult. op. cit. p. 198; praticamente, ottiene il sommo bene (virtù+ felicità ove quest’ ultima è conseguenza della prima).

[101]Cfr.Severino, ult. op. cit. p. 198- 199; il concetto di Dio è una pulsione ineliminabile della ragione, la cui esistenza non è tuttavia dimostrabile (Cfr. Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Il testo filosofico II, Mondatori, 1992, p.1218).

[102]“La volontà può volere l’attuazione del sommo bene solo se crede nell’esistenza di Dio”; Cit.Severino, ult. op. cit. p. 199.

[103]Cfr.Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 1997, p. 260 e ss.

[104]Cfr.Kant,ult.op.cit; quanto al nesso obbligato tra postulati della ragion pratica e imperativo categorico: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente(…): il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me. (…) Queste due cose io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente”(p.290).

[105]Evidenti o letenti, i tre postulati della ragion pratica sono insiti in ogni uomo; Cfr. Severino, ult. op. cit. p.199.

[106]Nietzsche sostiene che Socrate sia il primo tra i negatori della vita. Tali negatori hanno colpevolmente esiliato dalla vita la componente dionisiaca, gettando nel discredito tutto quanto è fisicità, bellezza, forza. In sostanziale accordo con Kant, Hegel fa dire a Cristo: “Io mi attengo soltanto all’autentica voce del mio cuore e della coscienza.chi l’ascolta attentamente è illuminato dalla sua verità(…)Questa legge interiore è una legge di libertà, alla quale l’uomo liberamente si sottomette, come colui che se l’è data da se stesso” (cit. Hegel, Vita di Gesù, p.93, Laterza 2004).

[107]Ciò, non nel senso che ogni uomo conduca de facto una “vita morale”, ma che in ogni uomo è presente la condizione suprema per poterla condurre (la voce della coscienza); Severino,ult.op.cit.,p.193.

[108]Cfr.Cicerone, De officiis, Solaria, 1990, p.31 ss.

[109]Esemplare, in proposito, la disputa tra stoici ed epicurei.

[110]Oltre all’imperativo ipotetico e categorico, Kant introduce nella Fondazione della Metafisica dei costumi quattro classi di doveri: i “perfetti”(o stretti) e gli “imperfetti”(o larghi), divisi ulteriormente in “verso di sé” e “verso gli altri”. Es. di “dov. perf.”: non rubare; es. di “dov.imp.”: fare l’elemosina (Cfr. Hoffe, ult. Op.cit. p.174); la morale è corroborata dalla cd. “religione razionale” –non il Cristianesimo o l’Islam- che designa come validi quei comandi cui siamo moralmente obbligati. Porre esclusivamente Dio come fonte di comando e determinazione della condotta giusta, significherebbe per Kant ricadere nell’eteronomia. Così, “la religione nei limiti della semplice ragione” è la conoscenza di tutti i doveri come comandi divini. Perciò, non ci saranno religioni diverse, ma solo una religione morale universale.

[111]Cfr.Nietzsche, Genealogia della morale, p.47 e ss.,Newton, 1992.

[112] Sapere aude!

[113]Per universalizzare ciò che finora è stato particolare e arbitrario, Kant riconduce tutto alla ragione universale.

[114]Cfr.Cicerone, De officiis, Solaria, 1990; Cicerone nel suo trattato sui doveri riferisce i termini con cui i Greci erano soliti chiamare il dovere –kathèkon e kathortòma- i quali ricalcano la differenziazione tra imperativo ipotetico e categorico.

[115]Kant, infatti, è solito parlare di ragion pura pratica.

[116]Cfr.Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza,2003; cfr.Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 2003.

[117]Collocando all’esterno (eteronomia), nell’esperienza, i propri fini, l’uomo è impegnato ad individuare i mezzi migliori per raggiungerli. Quando il fine dell’uomo è il “dovere in sé “, sta alla volontà autonoma –libera- agire in conformità della propria ragione.

[118] Cit. Hegel, ult.op.cit.,p.69.

[119]Per gli epicurei, la ricerca del piacere era un dovere. Essi solevano dire “edonè katà stematikè” (“persegui il piacere in riposo”, ove, ad onor del vero, riposo è metafora di distacco).

[120] “L’uno dei due esclude l’altro, oppure ne scaturisce una rovinosa e impotente oscillazione tra l’uno e l’altro. (cit.Hegel,ult.op.cit.,p.78).

[121]Cfr.Severino, ult. op. cit.; cfr. Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, ult. op. cit.

[122]Cfr.Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, ed. Laterza, 2003, p.59.

 

[123]Lo scopo non è ovviamente determinato a priori, legato alla contingenza, e perciò variabile, diversificato.

[124]Cfr.Kant, ult.op.cit., p.60.

[125]Infatti, per quanto saggia, tale condotta non è giusta, visto che la volontà non è illimitatamente buona, determinata ossia interamente a priori.

[126]Cit.Kant, ult. op. cit. p.60 e ss.

[127]Non è possibile infatti prevedere quali scopi, nel corso della vita, ogni singolo uomo tenterà di perseguire. Per tale motivo l’imperativo ipotetico poggia sul contenuto- dubbio, variabile e molteplice- non già sulla forma.

[128]Cit.Kant, ult. op.cit., p.65.

[129]Cit.Kant, ult.op.cit., p.113.

[130]Cfr.Kant, ult.op.cit.p.73.

[131]Per illimitata s’intende al di là d’ogni riferimento di natura empirica (scopi, inclinazioni).

[132]E’ in questione l’efficacia vincolante dell’imperativo categorico sulla volontà, in che modo possa imporvisi e così determinarla. Kant esce da questa impasse attraverso la metafisica. Concetto di Dio, immortalità dell’ anima e libertà sono pulsioni innate nell’ uomo che conferiscono efficacia vincolante alla legge, universalizzandola. Ovviamente l’universale possibilità di udire la voce della coscienza non significa che l’azione morale avvenga senza sforzi, in spontanea conformità con la ragione.  

[133]Cfr. ult.nota;

[134]Cessando lo scopo per ottenere il quale occorre una determinata condotta, cessa anche l’obbligo; cfr.Kant, ult. op. cit.p.73.

[135]Quando opera la ragion pura non vi sono impedimenti esterni alla condotta morale.

[136]Il testo (1785) precede di tre anni la Critica della ragion pratica.

[137]Nonostante i secondi (imperfetti) siano più morbidi, entrambi designano comandi ineludibili.

[138]A questo proposito, Kant afferma: ”Se un essere razionale deve concepire le sue massime come leggi pratiche universali, esso può concepire queste massime solo come principi tali che contengano il motivo determinante della volontà, non secondo la materia, ma semplicemente secondo la forma”(cit.Kant,Critica della ragion pratica, p.55,Laterza,2003).

[139]Un principio esclusivamente soggettivo come il piacere, non può assolutamente porsi in ottica di legge universale.

[140]Cfr.Kant, ult.op.cit.p. 27.

[141]Cit.Kant, ult.op.cit., p.79; purtuttavia, specifica Kant:“la ragion pura pratica non vuole che si rinunzi alla pretesa di felicità, ma soltanto che, appena si tratta del dovere, non si abbia in nulla riguardo ad essa”(Cit. Kant, ult.op.cit., p.203).

[142]Cfr.Kant, ult.op.cit.,p. 28.

[143]Cfr.Kant, ult.op.cit, p.203.

[144]Cfr.Kant, ult.op.cit., p.203.

[145]Cfr.Kant, ult.op.cit., p.30.

 

[146] Cit.Beck, I rischi della libertà, p.120, Il Mulino 2000.

[147]Cfr.Kant, ult.op.cit., p. 30.

 

[148]Kant spiega le antinomie in termini di contraddizioni della ragione, alla quale la ragione stessa non può rassegnarsi.

[149]Il primo copre l’inconveniente del fatto che non realizzandosi in questa vita l’unione di felicità e virtù (sommo bene), si deve presupporre che vi sia un Dio-giudice in grado di far coincidere virtù e felicità, punendo il vizio nell’ottica di una vita eterna;

il secondo ci dice che l’immortalità dell’anima è condizione essenziale

[150]Si tratta delle seguenti prove: ontologica, cosmologica, fisico- teologica; cfr.Hoffe, ult.op.cit.,p.200 e ss.; la dimostrazione di Dio non è un problema per Kant in quanto l’uomo – con i mezzi che ha a disposizione- non è in grado di giungere a conclusioni oggettivamente valide.

[151]Dio è visto come l’oggetto di una fede morale razionale.

 

[152]Mentre la religione tradizionale richiedeva una morale (eteronoma), la morale in senso kantiano (autonoma) non può fare a meno della religione. Cfr.Cioffi, ult.op.cit.p.1220 e ss.

[153]Il male radicale è legato alla finitezza e alla fragilità dell’essere umano ed è la tendenza ad adottare un comportamento contrario alla legge morale, pur essendo consapevole di questa.

[154]Cit.Kant, Sul male radicale nella natura umana, Mondadori, 1995, p. 59 e ss.

[155]Cit.Kant, ult.op.cit., p. 69.

[156] Kant non riconduce –alla maniera dei filosofi cristiani- il male al peccato originale.

[157]Cit.Kant, ult.op.cit., p. 59.

[158]Cfr.Kant, Prefazione alla prima edizione de “La religione entro i limiti della semplice ragione”(1793).

[159]Si scadrebbe nell’eteronomia.

[160]Non va confusa con la società civile, in cui opera il diritto come garanzia della libertà attraverso la coazione.

[161]Precisazione doverosa per un illuminista anti oscurantista come Kant.

[162]Cfr.Hoffe, ult.op. cit p.236 e ss.; Cfr.Kant, La religione nei limiti della semplice ragione, Utet, 1970, p. 333 e ss.

[163]Cfr.Kant, ult.op.cit. p.484.

[164]Cfr.Kant, Sul male radicale nella natura umana, Mondadori, 1995.

[165]L’essere razionale mondano per antonomasia; cfr. Cfr. Hoffe, ult.op. cit p.236 e ss.

[166]Cfr.Kant, La religione nei limiti della semplice ragione, Utet, 1970, p. 381.

 

[167]Cfr.Hoffe, ult.op. cit p.236 e ss.

 

[168]Cfr.Hoffe,ult.op.cit.,p.180 e ss.

[169]Tuttavia, l’incontro tra il pensiero di Rousseau e Kant non lascia “indenne” il secondo.

[170]Cfr.Severino,ult.op.cit.,p.148; Il celebre mito del “buon selvaggio”; Cfr.Rousseau, Origine della disuguaglianza, Feltrinelli, 2004, p. 39 e ss.

[171]Cfr.Cassirer,ult.op.cit.p.90 e ss.;cit.”uno straordinario acume di mente, un nobile slancio del genio”.

[172]Basti pensare che L’Emilio, uno dei più famosi scritti di Rousseau è un trattato pedagogico.

[173]Cfr.Rousseau, ult.op.cit.- prefazione di G.Preti.

[174]Quella che ci si dà, non quella che si riceve dall’esterno.

[175]Cit.Cassirer,ult.op.cit.p.90 e ss.; Con tutte le complicazioni del caso, dice Cassirer:” si tratta di mostrare come sia possibile tener fermo il punto di vista della pura immanenza e nondimeno conservare l’incondizionatezza delle norme etiche”(cit.Cassirer, ult.op.cit.,p.107); Per interpretazione più profonda si pensi alla cd. “voce della coscienza”.

[176]Anche il sentire ha un ruolo importante: si pensi alla coscienza; Cfr.Cassirer,ult.op.cit.p.104.

[177]Cfr.Cassirer,ult.op.cit.p. 104.

[178]Cfr.Cassirer,ult.op.cit.p.443.

[179]Cfr. Rousseau, Il contratto sociale, p.73 e ss., Rizzoli, 1996.

[180]A tal proposito può ben comprendersi il motivo kantiano del sapere aude! e della autonomia.

[181]Cfr. Rousseau, ult.op.cit.p.155 e ss.

[182]Kant chiamerebbe il rispetto, la conformità alle leggi senza buona volontà, legalità.

[183]Cfr.M.Fini,ult.op.cit. p.231.

[184]S’intende fino al 1879, quando il nostro si affranca dal pessimismo schopenaueriano, osteggiandone duramente il “no alla vita” sotteso ai concetti di noluntas e compassione.

[185]„Schopenhauer come educatore“.

[186]Cit.Abruzzese, Forme estetiche e società di massa, Marsilio, 2001, p.26; Nietzsche, Wagner, 1959, p.23

[187]Cit.Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Adelphi, 2000, p.40.

[188]Cfr.Cioffi,ult.op.cit.;cfr. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione,II,38 IN G.A.F., p.660 e ss.; cfr. Ardiccioni, Filosofia, ed. D’Anna, 1996, p.134 e ss.

[189]Cfr.“Parla il martello”,Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, 1997, p.139.

[190]La durezza, infatti, è una componente imprescindibile dell’amor fati (cfr. Nietzsche, ult.op.cit.,p139).

[191]L’Ascesi –mezzo tracciato da Schopenhauer per opporsi alla tirannia irrazionale della volontà- nonostante sia un modo “decadent” di “dire no” alla vita che Nietzsche disapprova- è in parte riabilitato nel “Così parlò Zarathustra”, dove Zarathustra sceglie l’ascesi per purificarsi e ritrovare se stesso, ma poi ritornare fra gli uomini; diversamente, per Schopenhauer l’isolamento del genio è condizione ideale permanente.

[192]Dice Nietzsche di Schopenhauer in relazione ad alcune categorie morali: “Si trattava del valore del non egoistico, degli istinti di compassione, negazione di sé (…), che proprio Schopenhauer aveva ricoperto d’ oro (…) sulla cui base egli disse no alla vita e anche a se stesso”(cit.Nietzsche, Genealogia della morale, p.43, Newton, 1992).

[193]Cit. Nietzsche, Ecce Homo, p. 78, Adelphi, 1965.

[194]Ciò che fa l'io, o il senso dell'io. Principio di individuazione che genera il senso dell'egoità e della distinzione riferendo l'esperienza e il suo contenuto ad un io particolare; è dunque associato al manas (mente empirica-distintiva-analitica).(...) Costituisce la coscienza nel suo stato di individualizzazione(...)Questa coscienza dà nascita alla nozione dell'io (aham)”(cfr. Glossario sanscrito, Ediz. Asram Vidya, trad. Milano, 1999); Cfr. Nietzsche, La Nascita della Tragedia, p. 24 e ss.

[195]Paradigmatico e legato allo stesso disprezzo per la cd. “plebaglia” il disagio di Zarathustra tra la folla de mercato. Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996, p.20 e ss.

[196]Basti ritornare per un istante alla volontà di vita come forza irrazionale che soggiace a tutte le manifestazioni della vita e al concetto di genio delineato da Schopenhauer; (Cfr. Interviste a Gadamer, Raisat Educational, 2000); cit. Nietzsche, Ecce homo, p.79, Adelphi, 1981

[197]“Il pessimista è colui che non solo afferma e vuole il nulla, ma agisce di conseguenza” (cit.Beck, I rischi della libertà, p.122, Il Mulino, 2000.

[198]Cit. Nietzsche, Al di là…, af. 56, Adelphi, 1968.

[199]L’idillio di Tribschen è terminato: Nietzsche supera la fase schopenhaueriana e wagneriana e diventa filosofo.

[200]Cfr. Montinari, ult.op.cit., p.90 e ss.

[201]Tra gli scrittori che più appassionano Nietzsche c’è l’autore di aforismi La Rochefoucauld, il quale sostiene che ogni azione umana è determinata affatto dall’amor proprio; Cfr. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, 1968.

[202]Cfr. Cacciari, Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, 1977, p. 13-16; già Schopenhauer, in merito alla fondazione kantiana della morale si pone il quesito:” qual è il suo contenuto? Dove sta scritta?” (Cit. Schopenhauer, Memoria sul fondamento della morale, Torino, 1970, p.211); “bisogna dare all’etica un fondamento universale, ma nel senso di universalmente efficace, in grado cioè di comprendere i contenuti e gli atti” (Cit. Cacciari, ult.op.cit. p.15).

[203]Universali in quanto razionali e in ogni caso “sentite” da tutti gli uomini.

[204]Il cd. amor fati è un collante che in qualche modo unisce l’intera opera nietzscheana (cfr. Montinari, ult.op.cit.p.97).

[205]Dice Kant: “I soli oggetti di una ragion pratica sono il bene e il male; col primo s’intende un oggetto necessario della facoltà di desiderare, col secondo un oggetto necessario della facoltà di aborrire, ma tutti e due secondo il principio della ragione” (cit.Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 2003, p.125).

[206]Cfr. Montinari, ult.op.cit., p.90 e ss.

 

[207]Cfr.Cassirer, ult.op.cit.,p.275.

[208]Cfr. Montinari, ult.op.cit. p.90 e ss.

[209]Cfr. Montinari, ult.op.cit; Nietzsche, cfr. Aurora, Adelphi, 1978, p.5.

[210]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.5.

[211] Cit.Kant, Critica della ragion pura,II,p.254.

[212] Cit. Nietzsche, Aurora, Adelphi, 1978, p.6.

[213] Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.6.

 

[214] Cfr. Nietzsche, Umano, troppo umano, Newton, 1990.

[215] Cfr. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, 1977.

[216]Cfr. Nietzsche, Aurora, Adelphi, 1978, p.101.

[217]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.101; Cfr. Bergmann, Schopenhauer, III, p.514.

 

[218]Cfr. Cassirer,ult.op.cit.

[219]La componente dionisiaca assurge, con Nietzsche, al livello di quella apollinea; le passioni travolgenti, l’irrazionalità (...) vanno accettate essendo imprescindibili dalla vita.

[220]Cit.Montinari, ult.op.cit.p.87.

[221]“La volontà di potenza –tentativo di trasvalutazione di tutti i valori” fu un’idea in questo senso, che poi Nietzsche abbandonò.

[222]Vattimo dà ragione a Nietzsche sul fatto che non si possa costruire nulla di solido senza aver rima distrutto. (cfr. Vattimo, Nichilismo ed emancipazione, Garzanti, 2003).

[223]Cit. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli,Adelphi 1970, p.64 (questo modo di definire il cristianesimo è strettamente legato alla concezione del peccato da parte di esso).

[224]Cfr. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, nota introduttiva a cura di M. Montinari, Adelphi 1970, p.15 e ss.

[225]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.15 e ss.

 

[226]Cfr. nota introduttiva di G. Colli a Nietzsche, Aurora, Adelphi, 1978.

[227]Cfr. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli,p.46 e ss., Adelphi 1970.

[228]Dio morale; Cfr. Montinari, ult.op.cit.; cfr. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi (…); cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996; cfr. F.Volpi, Il nichilismo, Laterza, 2004; “morte di Dio” e “nichilismo” sono fenomeni strettamente connessi legati –sostiene N.- alla svalutazione dei valori supremi della vita e alla conseguente necessità di crearne di nuovi volti alla affermazione della vita stessa.

[229]Cit. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, p.46Adelphi 1970.

[230]vedi nota precedente.

[231]Cfr. Interviste a Gadamer, Raisat Educational, 2000.

 

[232]Secondo Nietzsche di evidente derivazione socratica (decadent); è bene sottolineare, tuttavia, la differenza tra razionalismo classico di matrice cartesiana e razionalismo critico di matrice kantiana.

[233]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.28.

[234]Con cui chiude il “Crepuscolo degli idoli” (cfr. Nietzsche, ult.op.cit., p.138).

[235]Cfr. Nietzsche, ult.op.cit., p.16 e ss.

 

[236]Per il filosofo Eraclito, tutto è opposizione (pòlemos).

[237]Cfr. nota introduttiva di G. Colli a Nietzsche, Aurora, Adelphi, 1978

[238]Cit. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi 1970.

[239]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.31; per Kant, invece, “se gl’imperativi determinano la volontà solo relativamente a un effetto desiderato (imperativi ipotetici) sono precetti pratici, non legge”(cit. Kant, Critica della ragion pratica, p.37, Laterza, 2003).

[240]Rigidamente relativista.

[241]Cit. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, nota introduttiva a cura di M. Montinari, Adelphi 1970, p.17; e ancora: “non esistono per nulla fatti morali. Il giudizio morale ha in comune con quello religioso la credenza in realtà che non lo sono”(cit. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi 1970, p.66).

[242] Cit. Nietzsche, ult.op.cit,p.71.

[243]Cit. Schopenhauer, Mondo come volontà e rappresentazione, II, p.666; ossia, tutto ciò che accade non è giudicabile secondo la coppia di valori giusto/ingiusto.

[244]„Per poter esser ritenuti colpevoli, si dovette pensare ad ogni azione come voluta, e l’origine di ogni azione come situata nella coscienza“ (Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.62).

[245]Cfr.Nietzsche, La nascita della tragedia, p.53 e ss., Newton, 1991; cfr. Cioffi, Il testo filosofico, 3/1, p.640 e ss., Mondatori, 1998.

[246]Cit. Kant,Critica della ragion pratica, Laterza, 2003, p. 81.

[247]secondo la distinzione sorta con “La nascita della tragedia”.

[248]Per Kant, l’agire morale è legato all’autonomia della volontà e alle leggi razionali che essa stessa si dà; per Nietzsche, la realtà nega l’ottica kantiana: dietro l’azione più razionale agisce l’istinto, l’amor proprio, l’irrazionale.

[249]Cfr. Nietzsche, Umano, troppo umano, Newton, 1990.

[250]Cfr. nota introduttiva di G. Colli a Nietzsche, Aurora, Adelphi, 1978; Cfr. Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, 1980; cfr. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, La gaia scienza, Einaudi, 1979.

[251]Idoli. Gli idòla sono errori; cfr. Idòla tribus, idòla specus, idòla fori idòla teatri di Bacone.

[252]Cfr Banfi, Introduzione a Nietzsche, cit. p.67.

[253]Cit. Nietzsche, Umano, troppo umano (Il viandante e la sua ombra II), af. 1, p.125.

[254]Cfr. Ardiccioni, ult.op. cit., p. 186.

[255]Cit. Nietzsche, La nascita della Tragedia, p.60.

[256]Cfr. Nietzsche, Ecce homo,p.127 e ss., Adelphi, 1981.

[257]Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996, p.21; Lowith parla anche di “liberazione dal tu devi all’ io voglio (leone) e dall’ io voglio all’ io sono (fanciullo)” (cfr. Lowith, Nietzsche e l’eterno ritorno, p.26 e ss.,Laterza, 1985).

[258]E’ attraverso la solitudine che ritrova sè stesso, la propria individualità.

[259]Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1976, Di antiche tavole e nuove, p231 e ss.

[260]Cfr. Nietzsche, Al di là del bene e del male, af. 188, Adelphi, 1968.

[261]Lo stesso Nietzsche distingue una morale dei signori e una morale degli schiavi.

[262]Cfr. Ocone, Nietzsche, un’etica della Babele, L’Avvenire, 9-1-2001.

[263]Per tradurre Ubermensch, Vattimo preferisce dire „oltreuomo“, termine che ci pare appropriato dal punto di vista del significato, in quanto non preconizza una “razza superiore” (M.Montinari); Cit. Nietzsche, Così parlò…p.21.

[264]Cfr. Lowith, Il nichilismo europeo, Laterza, Roma-Bari, 1999; cfr. Heidegger, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”, La Nuova Italia, 1997.

[265]Cfr. Volpi, Kant e l’oriente della ragione, Adelphi, 2000;

fragilitas, componente istintuale che si oppone alla ragione (cfr.Kant, Sul male radicale nella natura umana…p. 36).

[266]Cfr. Volpi, Kant e l’oriente della ragione, Adelphi, 2000.

 

[267]Cit. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, p.47, Laterza 2003.

[268]Le quali, per Nietzsche, in ultima analisi, determinano ogni condotta.

[269] Dio.

[270]Cit. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 2003, p.179 (Tale frase esprime tutte le difficoltà che un uomo incontra per agire moralmente).

[271]Cfr. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 2003, p.179.

[272] Azione non interessata. Per interesse si intende un fine di natura empirica determinabile a posteriori.

[273]Perché sia universale, la l. morale deve essere determinata razionalmente, non empiricamente.

[274]Ciò ovviamente non trova d’accordo il relativista Nietzsche.

[275]Sebbene altri sottolineino come la filosofia kantiana si espressione dell’individualismo borghese (Cfr. Goldman, Introduzione a Kant, p.10, Laterza 2001).

[276]Il movente è quell’inclinazione che muove verso determinati fini; il motivo è l’elemento in virtù del quale la ragione determina una volontà autonoma.

[277]Per Kant, solo l’uomo liberato dalle passioni (dalla fragilitas) è compiutamente morale e, in ultima analisi, compiutamente uomo (Cfr. Kant, Sul male radicale nella natura umana, Mondadori, 1995).

[278]Cit. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, 2003, p.189.

[279] Cfr.Nietzsche, Al di là del bene e del male, in Opere, vol.VI, tomo II.

[280]Nulla a che vedere con fattori biologico- razziali.

[281]Cfr. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, 1968.

[282]La cd. “morale rovesciata”.

[283]“Punizione chiama la vendetta se stessa: con una parola bugiarda si dà ipocritamente una buona coscienza”(cfr.Heidegger, Che cosa significa pensare?, p.88, Garzanti, 1954, cit. da Nietzsche, Così parlò Zarathustra, “della redenzione”).

[284]Cfr. Heidegger, Che cosa significa pensare?,p.79, Sugarco, 1954, da Nietzsche, Così parlò Zarathustra, “delle tarantole”.

[285]Cfr. Nietzsche, Umano, troppo umano, Newton, 1990, af.7.

[286]Come fanno i veri chimici e lo stesso Kant.

[287]Cit. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, La gaia scienza, Einaudi, 1979.

[288]In merito alla presa di coscienza kantiana, che alcuni temi sono inconoscibili dal punto di vista oggettivo e possono ammetersi soltanto delle ipotesi (le antilogie), apparentemente tutte valide.(Cfr. Cioffi…, ult.op. cit.).

[289]“Falsa chiamo ogni verità che non fu espressa con una risata” (cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996, p. 202).

[290]Cfr. G. Colli, Scritti su Nietzsche, p. 98.

[291]Cfr. Nietzsche, La gaia scienza, af. 125; „Morte di Dio“, ovvero: Dio –postulato della ragion pratica- è morto.

[292]Ovviamente nell’accezione „vattimiana“.

[293]Cit.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996, p.71.

[294]Cit.Nietzsche, ult.op.cit.,p.188; “L’uomo è soltanto un ponte tra l’animale e il superuomo” (Cfr. Nietzsche, ult.op.cit,).

[295]Assieme alla cd. voce della coscienza, così simile al daimon socratico.

[296]Sulla competizione cfr. Nietzsche, L’agone omerico; Cfr. par. “Dioniso e Apollo”.

[297] Vedi paragrafo successivo.

[298] “Io sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro, piuttosto che un santo”(cit. Nietzsche, Ecce homo, p.11, Adelphi, 1981).

[299]La solitudine rende più vicini all’assoluto e rimanda all’effettiva condizione dell’uomo, solo dinanzi alla sofferenza nel mondo (cfr. Heidegger, Che cosa significa pensare?,Sugarco,1954).

[300]Cit.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996, p. 71.

[301]Cit.Nietzsche, ult.op.cit., p. 30-31.

[302]Dice Zarathustra ai propri discepoli:”restate fedeli alla terra, fratelli, con la potenza della vostra virtù!” (cit Nietzsche, ult.op.cit., p.69).

[303]Cit. Nietzsche, Al di là del bene e del male,p.41, Demetra, 1996.

[304]Cfr Montinari, ult.op.cit p.90 e ss.

[305]Cfr Montinari, ult.op.cit p.90 e ss.

 

 

[306]Secondo Nietzsche -da Socrate in poi- la filosofia morale ha capovolto il mondo reale, sovvertendone in tal senso i valori, consentendo che l’uomo diventasse quello che avrebbe dovuto divenire in base a quest’ottica capovolta, invece di cercare ad essere quello che è, in base alla realtà.

[307]Cfr. Montinari, ult.op.cit p.90 e ss.

 

[308]Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere, vol. VI, tomo I.

[309]Angoscioso alla maniera degli esistenzialisti, affranti dal problema della scelta, in mezzo alla miriade di possibilità.

[310]Dal superuomo si tornerà all’uomo nano.

[311]Cfr. Nietzsche, Così parlo Zarathustra, II, Del superamento di se stessi, cit. p.104; secondo Montinari (ult.op.cit.) “da ogni gradino,la volontà di potenza guarda a un gradino superiore”.

[312]Vedi l’opera giovanile di Nietzsche su L’agone omerico.

[313]L’omologhia platonica consiste nella ricerca della convergenza delle vedute tramite il ragionamento dialettico.

[314]Cfr. Cioffi, ult.op.cit., p. 657.

[315] Schopenhauer parlava invece di “ volontà di vita”.

[316]Cit. Nietzsche, Così parlo Zarathustra, II, Del superamento di se stessi.

[317]Cit. Paci, Nietzsche, p.227, Garzanti, 1942 (da “Volontà di potenza- saggio di una trasmutazione di tutti i valori).

[318]I negatori della vita, infatti, negano –non potrebbero fare altrimenti in virtù della loro condizione di malriusciti- per affermare se stessi e dominare.

[319]Cit. Montinari, ult.op.cit p.106.

[320]Cit .Montinari, ult.op.cit p.108.

[321]Da wille, in cui la vita è l’oggetto, a wille zur macht, in cui la vita è il soggetto.

[322]Il potere, in quanto germoglia su un terreno imprescindibilmente temporale non si realizza tramite la libertà, la cui idea è per definizione astratta, ma tramite la necessità cui la “dinamica critica” dell’ “hic et nunc” costringe (Cfr. Cacciari,ult.op.cit., p.50 e ss.).

[323]Questa presenza immanente del conflitto su cui Eraclito fonda la propria filosofia torna prepotentemente in Nietzsche-Zarathustra; il perenne stato di crisi, favorisce una visione individualistica della vita. (cfr. Cacciari, ult.op.cit.).

[324]Così fanno „i viandanti del sollen“ (cit. Cacciari, ult.op.cit. p.46).

[325]Ponte che costruisce Kant attraverso il concetto di autonomia della volontà.Essa non è possibile in quanto anche laddove la volontà sembri volere autonomamente sono le passioni a muoverla.

[326]Cit. Nietzsche, Al di là del bene e del male, af.187, Adelphi 1968.

[327]Ossia, l’“uomo in sé”.

[328]Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, pp. 348 e ss.; cfr. Cacciari, ult.op.cit.,.p.48.

[329]All’“ideale ascetico”, alla proiezione verso fantomatici mondi, Nietzsche contrappone il “dasein”, “il senso della terra”.

[330]Cfr. Cacciari, ult.op.cit., p.44.

[331]“Una cosa è più necessaria dell’ altra”(cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Gulliver, 1996).

[332]Cfr. Lowith, Nietzsche e l’eterno ritorno, Laterza, 1985, p.179.

[333]L’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, una fune sopra l’abisso” (cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.8, Gulliver, 1996).

[334]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.6.

[335]“C’è Wille zur Macht proprio perché non posso conciliarmi” (Cit. Cacciari, ult.op.cit.,p.46).

[336]Espressione della sintesi.

[337] O compassione rimedio schopenhaueriano volto ad arginare la sofferenza della vita.

[338]“C’è Macht solo in quanto non esiste sintesi” (cit. Cacciari, ult.op.cit., p.46).

[339]Cit. Cacciari, ult.op.cit.,p.49; l’antitesi con Kant è evidente, come è evidente anche l’antitesi con l’illuminismo, problema cui rimandiamo al paragrafo successivo.

[340]Cit. Beck, I rischi della libertà, p.121, Il Mulino, 2000.

[341]Cfr. Janz, ult.op.cit.p.342.

[342]Con un occhio di riguardo al rapporto che l’uomo deve avere con le divinità e con la corporeità, che le scuole epicuree diffondevano.

[343]Basti pensare agli ideali di uguaglianza contro cui Nietzsche si batte con decisione.

[344]Nel 1878, dedicò alla memoria di Voltaire, in occasione dei cento anni dalla sua scomparsa Umano,troppo umano. N. si adoperò con l’editore perché il libro uscisse in tempo per la celebrazione dell’ anniversario della sua morte, il 30. 5. 1878 (cfr. Paci, Nietzsche, Garzanti, 1942 p.40 e ss.).

[345]Abbiamo precedentemente sottolineato la grande abilità nietzscheana di assimilazione e rielaborazione; interessante il paragrafo “Degli apostati” in Così parlò…, rivolto contro coloro che tradiscono la ragione in cambio di una comoda fede (Cfr. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, III, Degli apostati, Gulliver, 1990).

[346]Cfr. S. Giametta, Saggi nietzscheani, ed.Città del Sole, 1990.

[347]Cfr. Paci, Nietzsche, Garzanti, 1942 p.40 e ss.).

 

[348]Cfr. Nietzsche, Umano, troppo umano, prefazione.

[349]In una lettera, l’amico e ammiratore P. Ree gli scrive:”in questo momento ero così ben preparato a Lei, perché ho letto molto Comte”.

[350]Cit.Janz, Vita di Nietzsche, p.779.

[351]Cfr.Janz, Vita di Nietzsche p.779 e ss.

 

[352]Cit.Janz, Vita di Nietzsche, p.763.

[353]Cit. Mittner, Storia della letteratura tedesca, vol I, p. 810,Einaudi, 1971.

[354]Cfr. Mittner, ult.op.cit. p.810.

[355]Cit. Mittner, ult.op.cit. p. 815.

[356]Cfr. Mittner, ult.op.cit. p. 825.

[357]Cit. Mittner, ult.op.cit.p. 817.

[358]Cfr. S. Giametta, Saggi nietzscheani, ed.Città del Sole.

[359]Cfr. Nietzsche Aurora, af. 168 e Crepuscolo degli idoli, “Quel che devo agli antichi”

[360]Il volere e il dovere.

[361]Nell’estratto „delle tre metamorfosi“ Nietzsche –schematicamente parlando- pone la questione come “io voglio” vs “tu devi”.

[362]L’individualismo di fondo è evidente in un appunto intimo di Nietzsche datato 1875, che prelude al discorso che il filosofo si appresta a fare:”non passerà molto tempo e dovrò manifestare opinioni che sono ritenute ignominiose per colui che le nutre; allora anche gli amici diverranno timidi e paurosi. Anche attraverso questo fuoco dovrò passare. Poi, apparterrò sempre più a me stesso” (cit. Montinari ult.op.cit.…”p.66).

[363]Cit. Nietzsche, Umano, troppo umano, II, 213, 214.

[364]Sulla base di questa considerazione, a fronte del paragrafo precedente sul presunto illuminismo nietzscheano, cosa di più antilluminista?

[365]Cit. Nietzsche, Umano troppo umano, II, 6. A proposito della separazione, Nietzsche dice: “essa arriva all’improvviso per simili incatenati. È come un terremoto: la giovane anima viene bruscamente scossa, staccata, strappata via ed essa stessa non comprende ciò che le succede (…). È una prima esplosione di forza e volontà di determinare se stesso, valutare se stesso, di volere una libera volontà”.

[366]Cit. Kant, Critica della ragion pratica, p.161, Laterza 2003.

[367]Cfr. Kant, ult.op.cit., p.125.

[368]Relativamente alla volontà (vedi concetto di “autonomia”).

[369]Cfr. Nietzsche, Genealogia della morale, p.8 e ss.(introduzione), Newton, 1992.

[370]Cit. Kant, ult.op.cit.

[371]Cfr. Kant, ult.op.cit., p.333.

 

[372] Cit. Nietzsche, Verità e menzogna in senso extramorale, Newton 1991.

[373]I concetti bene/male, giusto/ingiusto si evolvono storicamente.

[374]E’ una „gaia scienza“.

[375]Zarathustra si rivolge ai sensibili e parla al proprio cuore.Soltanto chi è sensibile può sentire, intuire.

[376]Cit. Nietzsche, Umano,troppo umano, af. 31, Newton 1990.

[377]Vedi Mittner a proposito di “Nietzsche-decadente” (cfr. Mittner, Storia della letteratura tedesca, p.810 e ss. Einaudi, 1971).

[378]Cfr. Nietzsche, Aurora, Adelphi, 1964.

[379]E conseguentemente di buono e cattivo; Le armi critiche di cui si serve Nietzsche per distruggere la morale sono: analisi storica (Cfr. Genealogia della morale) e ricostruzione della genesi dei pregiudizi morali (Cfr. Aurora).

[380]Cit. Nietzsche, Umano, troppo umano, Newton, 1992, af. 16.

[381]Cit. Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico di I. Kant, trad.it. in Scritti di storia, politica, diritto, p.167, Roma-Bari, 1995.

 

[382]Cfr. Mittner, ult.op.cit.p. 813.

[383]Molti in questa citazione i riferimenti polemici a Kant. L’elogio metaforico della guerra come capacità di rimettere in discussione ogni verità. La tematica cristiano-kantiana dell’amore per il prossimo, da intendersi sempre come fine, mai mezzo. Nel significato estensivo di buona causa, si può intravedere la polemica nei confronti della buona volontà dalla quale si evincerebbe la bontà o meno di un’azione. (Cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.41-42, Gulliver, 1996).

[384]Cit. Nietzsche, Ecce homo, p.129, Adelphi, 1981.

[385]E su cui “martellare” per distruggere definitivamente menzogne e pregiudizi.

[386]Cit. Kant, Critica della ragion pratica, p.159, Laterza 2003.

[387]Riguardo all’utile Kant invece sostiene che il “bene non deve essere semplicemente l’utile, e ciò che è utile dovrebbe essere sempre fuori della volontà”(cit.Kant,Critica della ragion pratica,p.129, Laterza,2003).

[388]Kant è un reciso oppositore dell’amor proprio, in quanto non può caratterizzare l’essere morale:”La ragion pura pratica reca semplicemente danno all’amor proprio, costringendolo soltanto, come naturale e desto in noi ancor prima della legge morale ad accordarsi con tale legge; viene allora chiamato amore razionale di sé (Cit. Kant, ult.op.cit., p.161).

[389]Cit. Nietzsche, Frammenti postumi, 4, versione di Montinari, Adelphi, 1967; Cfr. Nietzsche, Genealogia della morale, Newton, 1992. Tale sottolineatura volta a smascherare le virtù socialmente condivise è stata già fatta da La Rochefoucald di cui, in più di un’occasione, Nietzsche si dice ammirato e da cui pare abbia tratto la tecnica aforistica.

[390]Cit. Nietzsche, Ecce homo, in Opere, Vol. VI, tomo III,Colli e Montinari,Adelphi, 1973.

 

[391]Cit. Nietzsche, Ecce homo, in Opere, Vol. VI, tomo III,Colli e Montinari,Adelphi, 1973.

[392]Postulato imprescindibile del „castello kantiano“.

[393]Cit. Nietzsche, Genealogia della morale, p.101, Newton, 1992.

[394]Secondo Nietzsche solo una puntuale analisi storica sull’origine e l’evoluzione della morale può gettare luce sull’infondatezza di alcune sue categorie. (Cfr Nietzsche, ult.op.cit., p. 47 e ss.).

[395]Cit. Nietzsche, ult.op.cit.,p.44.

[396]Nietzsche individua tre tipi di tradimento. Il primo è la spinta dell’uomo verso una realtà che non esiste, che comporta l’abbandono della propria identità. Il secondo è legato alla persuasione che i suoi istinti siano brutti e che se ne deve vergognare. Il terzo –e peggiore- è che gli istinti oltraggiati dalla morale si ribellano, e non trovando il loro naturale sfogo fuori, si rivolgono dentro (cfr. Nietzsche, Genealogia della morale –introduzione, p.19, 20 Newton, 1992).

[397]Nietzsche adopera anche i termini aristocrazia e plebe. I migliori erano storicamente gli unici degni di ispirare valori ed imporre nomi alle cose. Per cui, in origine, la morale non può che avere un impianto aristocratico, saldamente ancorato a valori terreni, in un’ottica di accettazione e gioia per la vita. In ottica plebea tutto cambia: derelitti e oppressi, negatori e dispregiatori della vita, a causa della loro condizione trasformano tutto ciò che è piacere, valore, forza e bellezza in oggetti deprecabili e di scarso valore, opponendo all’aldiquà un’aldilà migliore, ove tutte le ingiustizie verranno punite e gli ultimi diverranno i primi (cfr. Nietzsche, ult.op.cit.).

[398]Kant sostiene che l’azione è buona solo se la volontà è buona.

[399]Cfr. Nietzsche, Frammenti postumi, 126, versione di Montinari, Adelphi,1967; a proposito dei buoni: “i buoni furono sempre il principio della fine” (Cit.Nietzsche, Ecce homo, p. 128, Adelphi, 1981).

[400]Cit. Nietzsche, ult.op.cit.,p. 128; Nietzsche specifica che solo il superuomo è capace di bontà creatrice. Dei buoni in senso morale infatti egli dice: “Non sono capaci di creare(…) Essi crocifiggono colui che scrive valori nuovi su tavole nuove(…)crocefiggono ogni avvenire dell’uomo”(cit. Nietzsche, ult.op.cit., p.131).

[401]Afferma più precisamente Nietzsche: “Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l’atto con cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa”(cit.Nietzsche, ult.op.cit.,p.127).

[402] Cit. Hegel, ult.op.cit.,p.63.

[403]Nota bene: la critica alle tre prove stabilisce solo l’impossibilità di dimostrare con certezza l’esistenza di Dio, ma non la sua possibilità. Per questo, Kant non nega né afferma la esistenza di Dio.

[404]Poichè Dio è l’essere perfetto per eccellenza e per definizione, deve necessariamente esistere altrimenti non sarebbe perfetto.

[405]Analogia tra il modo di produrre le cose tipico dell’uomo e quello di Dio.

[406]Tali idee richiamano i tre postulati; Kant parla di impossibilità della metafisica come scienza, dovuta all’impossibilità di conoscenza delle cose in sé.

[407]Cfr. Heidegger, Kant e il problema della metafisica,Mursia, 1991.

[408]Conforme alla natura dell’uomo e con ciò estendibile a tutti gli individui.

[409]Cfr. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, p.172, Laterza, 2004.

[410]Notare il parallelismo morale cristiana-morale kantiana.

[411]Cfr. Kant, ult.op.cit., 170 e ss.

[412]Cit. Kant, Critica della ragion pura, p.539, Laterza, 2003.

[413]„I postulati non sono dogmi teoretici, ma supposizioni da un punto di vista strettamente pratico: essi sono l’immortalità dell’anima, l’esistenza di Dio e la libertà“ (Cit. Kant, Critica della ragion pratica, p.160,Laterza,2003).

[414]Cit. Kant, Critica della ragion pura, p. 453.

[415]Cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 5 Gulliver, 1996.

[416]Cit. Nietzsche, ult.op.cit., p. 82 Gulliver, 1996.

 

[417]Cfr. Nietzsche, Ecce homo, p120 e ss., Adelphi, 1981.

[418]Cfr. Cioffi, ult.op.cit., 650 e ss.

[419]Cit. Vattimo, Nichilismo ed emancipazione, Garzanti, 2003.

[420]Cfr. Vattimo, ult.op.cit.,p.61.

[421]Cfr. Volpi, Il nichilismo, p. 4 e ss., Laterza, 2004.

[422]“Per la prima volta Nietzsche impiega il temine negli appunti del 1880, ma da tempo Nietzsche aveva riconosciuto e individuato, seguendo il motivo della “morte di Dio”, i tratti distintivi del fenomeno” (Cit. Volpi,ult.op.cit., p. 4, 39-40 e ss.).

[423]Decadenti sono tutti quei fenomeni in cui l’uomo è impegnato a “dire no” alla vita.

[424]Nietzsche vede nella Germania la patria della morale e del dogmatismo (Kant, Leibniz); per il concetto di decadenza egli si ispira allo studio degli Essais di Bourget, riprendendone l’analogia tra decadenza letteraria e decadenza sociale (Cfr. Volpi, ult.op.cit.,p.50).

[425]Cit. Volpi, ult.op.cit., p.51, da VI, III, 22-23.

[426]Cfr. Volpi, ult.op.cit.; Cfr. Cioffi, ult.op.cit.

[427]Cit. Nietzsche, Gaia scienza, af. 125, Adelphi 1977.

[428] Cit. Nietzsche, Genealogia della morale, p.169, Newton, 1992.

[429]Al nichilismo “passivo” deve seguire un nichilismo “attivo“. Nietzsche individua queste due tipologie di nichilismo. Il nichilismo passivo non coincide con il piano della “non volontà”, ma con ciò che N. chiama “volontà del nulla”, tipica della metafisica cristiana o “ideale ascetico”, caro a Schopenhauer (cfr. Nietzsche, ult.op.cit.,p.111); il nichilismo attivo rappresenta la dimensione autentica di tale fenomeno, dato che viene messo in luce il fondamento del nulla come “volontà di potenza”. Il “nichilismo attivo” sorge dalla crisi del “nichilismo passivo”: la “volontà di potenza” si chiarisce nel superamento della “volontà del nulla” tipica del pensiero metafisico.

[430]Termina qui la fase illuminista: tutto il pensiero di Nietzsche muove ora verso la filosofia di Zarathustra; Cfr. Cioffi, ult.op.cit.,p.653.

[431]Cit. Nietzsche, Genealogia della morale, p.168, Newton, 92.

[432]Cfr. Lowith, Nietzsche e l’eterno ritorno, p. 26 e ss.,Laterza, 1985.

[433]Dio come limite. Cit. Vattimo, ult.op.cit., p.5.

[434]Cfr. Vattimo, ult.op.cit., p.6.

[435] Cit. Nietzsche, Ecce homo,p.129, Adelphi, 1981.

[436]O ripristinare gli antichi valori.

[437]Cfr.Nietzsche, L’anticristo, Mursia, 1994; quanto ai cristiani che, con identico ressentiment di ebrei ed eredi di Platone hanno sovvertito i valori aristocratici egli afferma: “il cristianesimo ci ha fatto perdere l’eredità della cultura antica, ci ha fatto perdere, più tardi, l’eredità della cultura islamica”(Cit. Nietzsche, L’Anticristo, p.100, Mursia, 1994).

[438]Cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.6 e ss., Gulliver 1996.

[439]La confutazione delle tre prove.

[440]Tuttavia, ciò non può bastare a Nietzsche, in quanto nell’avvicinamento della metafisica all’uomo egli nota soltanto che, la tirannia della morale ha solamente cambiato nome (ragione).

[441]Cfr. Beck, ult.op.cit., p.125.

[442]Cfr. Beck, ult.op.cit., p.125. Beck afferma: “Zarathustra spezza le catene del passato. Come? Non attraverso la critica, ma mediante il progetto di un’alternativa che è più di un’alternativa, poiché mette in discussione l’esistente pensando il futuro in modo nuovo”.

[443] Che cos’è?

[444]La “cosa in sé” è in conoscibile, ma è strumento necessario in ambito morale.

[445] Cit. Hegel, ult.op.cit.,p.77.

[446]Kant chiama fragilitas quella componente che non consente all’uomo un comportamento immediatamente morale senza sforzo alcuno(cfr.Kant, Sul male radicale nella natura umana,p.36).

[447]la metempsicosi o trasmigrazione delle anime platonica vedeva nel corpo una prigione.

[448]Cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.39, Gulliver, 1996.

[449]Non per nulla Kant parla di “volontà illimitata” e “autonomia”.

[450]I malriusciti sono i negatori della vita “par excellance”, responsabili del capovolgimento di tutti i valori in senso metafisico. (Cfr. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, p.32 e ss., Adelphi, 1983).

[451]O almeno a una parte di se stesso: il sacrificio di Dioniso sull’altare di Apollo.

[452]Cfr. Severino, La filosofia antica dai presocratici a Plotino, p.91, Bur, 1994, da Platone, Repubblica, VII -mito della caverna: Platone paragona chi vive nell’opinione a un prigioniero legato sin dalla nascita nel fondo della caverna ove non può muoversi e nemmeno girare la testa. Dietro di lui, in alto arde un fuoco; e tra lui e il fuoco sta un muricciolo, oltre il quale sporgono statue, simulacri che rappresentano ogni genere di cose. Sin dalla nascita, il prigioniero ne vede le ombre ed è convinto che siano la vera ed unica realtà.

[453]Ancora una volta, il metafisico è posto a fondamento della morale.

 

[454]La libertà della volontà per obbedire esclusivamente alle leggi della ragione.

[455]Cit. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 29, Gulliver, 1996.

[456]“Gli esseri sono razionale in virtù di una “scintilla divina”: sono razionali perché Dio è in loro”.(cit.Hegel, ult.op.cit., nota 30 a p.69).

[457]Cit.Kant, Critica della ragion pratica,p.161,Laterza,2003.

[458]Cit. Nietzsche,ult.op.cit.,p.30.

[459]L’apparentamento tra le due filosofie è incerto, ma pare francamente impossibile che Nietzsche non abbia in qualche modo conosciuto il pensiero stirneriano. (Cfr. Stirner, L’Unico e la sua proprietà,p.10 e ss., Mursia,1990).

[460]Cit.Stirner, L’unico e la sua proprietà, p.170, Mursia,1990.

[461]Cit.Stirner, ult.op.cit., p.173.

[462]Cit. Stirner, ult.op.cit.,introduzione di G.Penzo, p.10.

[463]È la terza tipologia di nichilismo oltre all’“attivo” e al “passivo”

[464]Nietzsche sostiene che l’uomo è l’essere valutante per antonomasia.

 

[465]Cit.Stirner,ult.op.cit.p.41.

[466]Cit. Beck, ult.op.cit., p.124.

[467]Tale citazione è tratta dalla breve nota che Vattimo ha premesso alla raccolta di buona parte dei suoi scritti pubblicati negli ultimi quaranta anni sul filosofo di Rocken.

[468]„Siamo in presenza di una sorta di democratizzazione di Zarathustra. Ci sono i manager Zarathustra, gli Zarathustra della scienza, gli Zarathustra dei ripensamenti e delle riconversioni ecologiche, forse perfino gli Zarathustra femministi!” (Cit. Beck, ult.op.cit., p.128).

Ultimo aggiornamento ( Venerdì 12 Settembre 2008 09:42 )